Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani non si rassegna. E non lascia passare giorno senza assicurare che Forza Italia farà in modo di “correggere” la norma che prevede una tassazione del 40% sul margine di interesse realizzato dalle banche nel 2023 grazie all’aumento dei tassi. Una settimana fa aveva promesso che si sarebbe speso per la deducibilità del balzello, rendendolo di fatto un prestito. Ora è “preoccupato” perché – a distanza di 20 giorni dal cdm che ha approvato la norma – ha scoperto dal Sole 24 Ore di sabato che tra gli interessi attivi soggetti all’imposta (una volta sottratti quelli passivi versati alla clientela) ci sono anche i rendimenti dei Btp e altri titoli di Stato in pancia agli istituti. Così, intervistato dal quotidiano economico, avverte che “rischiamo che ci siano ricadute sulle prossime aste” indette dal Tesoro per raccogliere risorse a debito “perché gli istituti di credito potrebbero non essere invogliati a partecipare”.

La preoccupazione è condivisa da una parte dell’opposizione: “Siamo di fronte a un errore marchiano”, ha scritto in una nota Mario Turco, vicepresidente del M5S, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Conte II e ora componente della commissione Finanze del Senato, “perché nella declinazione della norma si vanno a colpire anche i rendimenti dei titoli di Stato, rischiando di penalizzarli e di creare un problema enorme nella gestione del debito pubblico, il cui 25% è in mano proprio alle banche e agli altri istituti finanziari”. Il M5S “per primo – aggiunge Turco – ha proposto un contributo sugli extraprofitti delle banche e di quei settori economici che hanno conseguito profitti inaspettati e straordinari. Il punto è che il governo Meloni ha agito non solo in notevole ritardo, ma ha commesso un grave errore tecnico nel definire l’area di tassazione”.

Al netto dei palesi errori di comunicazione (vedi la conferenza stampa senza il ministro dell’Economia, che il giorno dopo avrebbe “corretto” la norma via comunicato) e delle perplessità che la tassa suscita soprattutto per il rischio che gli istituti facciano pagare il conto ai clienti, i mercati al momento non sembrano prevedere sfracelli in autunno. Il rendimento dei titoli di Stato italiani a dieci anni venerdì si attestava al 4,2%, lo stesso livello dell’inizio di agosto. Lo spread rispetto ai Bund tedeschi è a 167 punti dai 162 dell’1 agosto, un livello assai più basso rispetto agli oltre 200 punti dello scorso gennaio. Occorre tener conto del fatto che, per quanto ancora imponente, l’esposizione degli istituti alle obbligazioni statali è in progressivo calo: stando alle rilevazioni di Bankitalia è passata dai 428 miliardi del maggio 2022 ai 404 del giugno 2023. Inevitabile, visto che il valore dei titoli è inversamente proporzionale ai loro rendimenti e con l’aumento di questi ultimi i Btp sono diventati perdite potenziali. Al contrario, per lo stesso motivo – rendimenti assai attrattivi – è esplosa la quota in mano a famiglie e imprese, passata nello stesso periodo da 148 a 248 miliardi. Tajani sembra insomma farsi portavoce di un “avvertimento” del settore bancario più che di una conseguenza inevitabile della tassa.

Più comprensibile l’intenzione di correggere il decreto omnibus per tutelare le piccole banche visto che, ricorda il vicepremier, “Bcc e Popolari rischiano di pagare in proporzione di più degli istituti più grandi. E questo anche per un tema legato al trattamento prudenziale, perché le realtà più piccole adottano i modelli standard mentre quelle più grandi adottano modelli interni che danno maggiori possibilità di mitigare l’impatto della tassazione”.

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