Cultura

L’ex Pd Alberto Veronesi: “Mi hanno licenziato dal Festival Puccini perché sono anticomunista”

Nel giro di 48 ore al direttore d’orchestra Veronesi, che alla prima della Boheme di Puccini si era presentato sul palco bendato per non vedere lo “stupro compiuto su Puccini”, ovvero la regia e l’allestimento scenografico voluto da Christophe Gayral che immerge i protagonisti pucciniani del 1830 nel ’68 francese, è arrivato il benservito

di Davide Turrini

“Mi hanno licenziato dal Festival Puccini perché sono anticomunista”. Il maestro Alberto Veronesi, la Boheme ambientata nel ’68 e l’orchestra diretta da bendato, atto secondo. Non ci ha pensato due volte il presidente del Festival Puccini, Luigi Ficacci. Nel giro di 48 ore al direttore d’orchestra Veronesi, che alla prima della Boheme di Puccini si era presentato sul palco bendato per non vedere lo “stupro compiuto su Puccini, ovvero la regia e l’allestimento scenografico voluto da Christophe Gayral che immerge i protagonisti pucciniani del 1830 nel ’68 francese, è arrivato il benservito. “Per togliere il maestro Veronesi dall’imbarazzo di dirigere un’opera che non riconoscere e togliere dall’imbarazzo anche orchestrali e artisti abbiamo deciso di revocare allo stesso Veronesi la direzione delle prossime repliche (a cominciare da quella del prossimo 29 luglio)”.

Insomma, ulteriore benzina sul fuoco in un clima già rovente. Veronesi, che – ricordiamo – è figlio dell’oncologo Umberto e si è candidato per il Pd alle comunali di Milano del 2020, mentre nel 2022 si era candidato a sindaco di Lucca per il Terzo Polo, e poi, nel febbraio 2023, ha completato la giravolta presentandosi con Fratelli d’Italia, ovviamente non ci sta e critica il licenziamento-sollevazione dall’incarico, lui che è anche presidente del Comitato Nazionale delle Celebrazioni per il centenario di Puccini. “Il Presidente del Festival, che mi ha mandato una lettera di licenziamento (ufficialmente con la giustificazione ridicola che sarei arrivato in ritardo a una prova!!!!) ha gettato la maschera. Ha boicottato il Concerto di inaugurazione dell’11 luglio, peraltro seguito da cinquemila persone, perché era prevista l’esecuzione dell’Inno a Roma, opera scritta da Puccini, mentre ha organizzato una Bohème dove i protagonisti fanno il pugno chiuso per tutta l’opera, questi non scritti da Puccini. E chi non si allinea, chi vuole proteggere Puccini, chi contesta le strumentalizzazioni come il sottoscritto, viene licenziato”.

Così, se per motivi politici Veronesi si è platealmente bendato la sera della prima, Ficacci per motivi politici opposti l’avrebbe allontanato. “Cosa ne deduciamo? Che questo affezionato membro del Comitato Celebrazioni non intende celebrare Puccini, di cui probabilmente non frega nulla, ma celebrare la propria fede politica di sinistra”, argomenta Veronesi in una lettera pubblicata da Libero. “Ora, lo chiedo al MIC, il finanziamento ai partiti è stato abolito, ma è giusto fare finanziamento all’arte che fa propaganda politica di partito? È giusto obbligare comparse e coristi ad alzare il pugno chiuso? Forse si, ma allora devi organizzare anche una regia con idee opposte, perché se decidi di fare propaganda politica non puoi sottrarti alle leggi della par condicio”.

Questi i fatti di cronaca di una querelle in ambito culturale che però non ha sviluppato un dibattito reale e puntuale sulla rappresentazione sessantottina della Boheme da parte di Gayral. Solo Luca Beatrice su Libero ha accennato ad un’analisi supportando il moto di protesta alla cieca di Veronesi. Beatrice riprende un ragionamento di Veronesi sulla funzione della regia nell’opera contemporanea (“deve avere la funzione di approfondire lo spessore di alcuni passaggi dell’opera, di farci capire meglio il perché di alcune decisioni psichiche ed emotive che muovono il comportamento dei personaggi”) e scrive: “Compito assolutamente tradito da regie “spettacolari”, che puntano sugli effetti speciali, il depistaggio, lo scandalo, l’esagerazione. I nostri teatri, dalla lirica alla prosa, ne sono pieni, talvolta funzionano grazie a spettacolari macchine sceniche, altre volte meno se il testo non si incastra in un tentativo di nuova narrazione. In sé non sarebbe male che un’opera di 150 anni fa riuscisse ancora a farsi rappresentare come cosa viva, ciò che funziona di meno è la gratuità di certe scelte che, non casualmente, arrivano a fagiolo in momenti particolari”. Beatrice chiosa: “Particolarmente criticato il finale. Con Mimì ormai morta, Rodolfo porta a Musetta un cartello politico con un pugno chiuso. Che c’entra questo con Puccini, nell’anno delle celebrazioni per il centesimo anniversario della morte?”.

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