Cultura

Biennale Danza di Venezia, ecco gli appuntamenti da non perdere e perché vale la pena andarci

Fino al 29 luglio il Festival che invita i volti più originali e innovativi della coreografia mondiale

di Simona Griggio

Sul palco vuoto sette danzatori e trentanove pendoli interagiscono in un’azione basata su ritmo, tempo e gravità. I performer di “Pendulum”, installazione-performance della Biennale Danza di Venezia (al teatro delle Tese fino al 29 luglio), si muovono in mezzo a una distesa di pendoli in costante oscillazione. Sono campane sospese che suonano, pulsano, ronzano in uno spazio immerso nella semi oscurità e nelle sonorità che generano con le loro orbite di luce. I performer le afferreranno, le fermano, le fanno ruotare, le schivano e rispondono. Resistono e reagiscono.

Altered States”, il titolo che il coreografo britannico e direttore della Biennale Danza Wayne McGregor ha scelto per il 17. Festival Internazionale di Danza Contemporanea, fa riferimento allo stato di alterazione nel corpo che provoca la danza quando si fa esperienza oltre lo sguardo e il pensiero. Quando provoca accelerazione di battito cardiaco, sorpresa, pathos o beata serenità.

Fra gli ‘alchimisti del movimento’ invitati da lui a sfidare le ortodossie tradizionali con le loro installazioni, mostre, e spettacoli in prima mondiale, europea e nazionale ci sono anche la coreografa australiana Lucy Guerin e il percussionista Matthias Schack-Arnott: due che, appunto, hanno costruito questa loro performance sul moto pendolare. “Per sviluppare questo progetto – spiega Guerin – abbiamo dovuto studiare il concetto di gravità, capirne la fisica, la meccanica: se un’oscillazione grande si protraeva più a lungo di una piccola, se una campana di dimensioni maggiori poteva rimanere sospesa per più tempo”. Il potere e la vulnerabilità del corpo umano si rivelano, così, nel tentativo di controllare l’incessante salita e discesa del peso del pendolo in una scenografia in eterno movimento.

Attorno a quest’idea di alchimia della danza si snoda tutto il Festival, che invita i volti più originali e innovativi della coreografia mondiale. Fra questi, ad aprire la kermesse (Arsenale, Sala d’Armi dal 14 luglio per tutta la durata della manifestazione) Simone Forti, Leone d’oro alla carriera, con la retrospettiva a lei dedicata. La mostra, in collaborazione con il Museum of Contemporary Art (Moca) di Los Angeles, abbraccia dell’artista italo-americana che ha riformulato il dialogo fra arti visive e danza contemporanea, tutta la sua arte a partire dagli anni ’60: disegni, ologrammi, video, fotografie, quaderni, poesie e performance.

Fra gli spettacoli, il 14 e 15 luglio al teatro Piccolo Arsenale, quello di Acosta Danza, per la prima volta in Italia. Creata del super divo cubano del balletto internazionale Carlos Acosta, la compagnia porta in scena Ajiaco, una serata che si compone di tre diverse coreografie. C’è il personale “Faun” del coreografo belga-marocchino (oggi alla guida del Ballet du Grand Théâtre de Genève) Sidi Larbi Cherkaoui che si confronta con ‘L’après midi d’un faune’, un archetipo del balletto moderno da Nijinsjkij in poi.

Con il titolo si sono misurati coreografi come Lifar, Robbins, Amodio, Petit, Kylián, Béjart, Neumeier e Chouinard, che ne diede una provocatoria versione al femminile. I suoi sono movimenti liberi e sensuali che intrecciano fauno e ninfa nel nuovo millennio, con un erotismo che scorre fra le note ipnotiche di Claude Debussy e quelle del contemporaneo Nitin Sawhney di origini indiane. L’incontro con il compositore avviene ai confini con l’oriente, per aggiungere alla melodia i raga indiani e i vertiginosi vocalizzi del tradizionale canto diplofonico delle steppe asiatiche.

Alexis Fernández invece re-immagina la sua Cuba in “De Punto a cabo” ambientando la coreografia sullo sfondo del Malecón, la promenade che si snoda per otto chilometri lungo la costa dell’Avana. E cattura tutte le contraddizioni del suo Paese diviso fra tradizione e modernità, povertà e sviluppo. Segue “98 Días”: sono i giorni che il poeta Federico García Lorca trascorse a Cuba alla fine degli anni Venti del secolo scorso, i giorni più felici della sua vita.

Prima volta in Italia anche per Botis Seva e per la sua giovanissima compagnia Far from the Norm, esempio di una danza di cultura hip hop pulsante e potente. Il 18 e 19 al teatro delle Tese va in scena “Blkdog”, uno spettacolo very black, very street, intensely theatrical and totally entrancing” (molto nero, molto street, fortemente teatrale e assolutamente avvincente). Nasce dalla controcultura della musica rap, dei graffiti, dalla break dance e dal movimento hip hop che a metà degli anni ‘80 dai ghetti delle metropoli americane è arrivato in Europa.

Figura di spicco della nuova generazione, Botis Seva si è ispirato al libro “Shoot the damn dog” di Sally Brampton e a un senso personale di perdita e sofferenza, con i suoi danzatori incappucciati nelle felpe, avvolti da una nebbia che ne scontorna i profili prima di liberarsi ai suoni martellanti, cupi e inquietanti del musicista Torben Lars Sylvest.

E ancora, fra gli eventi da non perdere, la compagnia di Pechino vincitrice del Leone d’argento 2023: Tao Dance Theater di Tao Ye e Duan Ni. Il 28 e 29 al teatro Malibran portano il “circular movement system”, ripetizione ritualistica dei movimenti naturali del corpo che chiama in causa la capacità dello spettatore di concentrarsi sul gesto ripetuto nella sua essenzialità. Privo di ogni ornamento. Lo spettacolo “11”, vede i danzatori muovere la parte inferiore del corpo lasciando libera la parte superiore di esprimersi alla ricerca di un punto di equilibrio fra la natura individuale e l’ordine del gruppo. “13 e 14” si sviluppa invece secondo uno schema triplice, l’assolo, il duetto, l’ensemble. Partendo dall’unità dell’insieme la coreografia frammenta progressivamente i danzatori in formazioni diverse fra rallentamenti e accelerazioni improvvise, E’ la “complessità del mondo fisico, dove capita di continuo di urtarsi, congiungersi e disgiungersi, cadere e rialzarsi rimbalzando” al centro di questa forma coreografica contemporanea, al contempo rigorosa e aperta.

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