Il processo d’appello per Pippo Nicotra è da rifare. È questo il verdetto della Cassazione, che ieri ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa comminata all’ex deputato regionale siciliano. Per Nicotra, 67 anni, la scorsa primavera, la Corte d’appello di Catania aveva deciso una pena a quattro anni e otto mesi, dopo che in primo grado il tribunale lo aveva condannato a sette anni e quattro mesi. Adesso spetterà a una nuova Corte d’appello riprendere in mano le carte dell’inchiesta che, il 10 ottobre 2018, portarono il politico dietro le sbarre. Nicotra, che in passato ha vestito le casacche di Nuovo Psi, Movimento per l’Autonomia, Udc, Popolo della Libertà, Articolo 4 e infine Partito democratico, era accusato di avere mantenuto per decenni stretti rapporti con la famiglia di Cosa nostra Santapaola-Ercolano, in particolar modo con il gruppo attivo ad Aci Catena, il centro in provincia di Catania di cui Nicotra è originario e da dove è iniziata non solo la sua carriera politica ma anche quella imprenditoriale.

Titolare di svariati supermercati, Nicotra, secondo gli inquirenti, avrebbe dato lavoro agli uomini vicino al clan mafioso come contropartita per ottenere protezione e sostegno politico in occasioni delle elezioni. Tanto in primo grado che in appello, Nicotra è stato accusato di avere pagato decine di migliaia di euro per comprare i voti controllati dai Santapaola-Ercolano, ma il sostegno alla criminalità organizzata sarebbe passato anche da una disponibilità a tutto tondo, anche nel caso, per esempio, di scambiare grosse somme di denaro in banconote da 500 euro che sarebbero state a loro volta usate dal clan per acquistare ingenti partite di droga.

Principali accusatori di Nicotra sono stati alcuni collaboratori di giustizia. Tra di loro c’è Santo La Causa, ex killer e reggente della famiglia Santapaola-Ercolano in provincia di Catania. La Causa ha raccontato ai magistrati di avere incontrato Nicotra durante la propria latitanza e di averlo fatto presentandosi travestito da benzinaio. Un potenziale rischio che La Causa rivelò di avere accettato di affrontare, dopo avere ricevuto rassicurazioni sul conto di Nicotra e sulla sua disponibilità nei confronti della famiglia mafiosa. Per affermare il legame a doppio filo con la cosca gli inquirenti, nel corso del processo, hanno raccontato anche quanto accaduto nel 1993: all’epoca sindaco di Aci Catena, Nicotra tentò di opporsi alla decisione del questore di impedire la celebrazione pubblica del funerale di un parente del boss Sebastiano Sciuto. Quei fatti, che registrarono anche una visita al cimitero e lo scambio di un abbraccio con il capomafia, portarono allo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. Nicotra, però, si è sempre professato innocente, affermando di essere stato vittima di estorsione da metà degli anni Settanta. Un soggezione che però non avrebbe mai portato a un consapevole contributo esterno agli interessi economici della cosca e alla quale non avrebbe mai chiesto aiuto in occasione delle tornate elettorali.

“La difesa dell’on. Raffaele Giuseppe Nicotra – si legge in una nota del professore e avvocato Giovanni Grasso e dagli avvocati Leo Mercurio e Orazio Consolo – esprime grande soddisfazione. Nel ricorso per cassazione, la difesa aveva segnalato i numerosi errori di diritto, le plurime contraddizioni e le criticità motivazionali di cui era affetta la sentenza della Corte d’Appello di Catania. La difesa prende atto che i motivi di ricorso hanno trovato l’accoglimento della Suprema Corte ed è fiduciosa che il successivo grado di giudizio potrà dimostrare la piena innocenza del proprio assistito, vittima delle intimidazioni estorsive del clan Santapaola, come è documentato da numerosi provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria catanese di cui, ingiustamente, non si era tenuto conto nelle due sentenze di condanna”.

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