Nel quadro generale ufficiale dato dalla Regione, in Emilia-Romagna sono almeno mille le frane attive, di cui 305 significative, che hanno coinvolto 54 Comuni. Dietro i numeri ci sono le immagini di centinaia di strade spaccate o addirittura crollate in fondo ai pendii, con interi paesi che sono isolati da giorni con tantissimi sfollati. La situazione è particolarmente difficile sugli Appennini, dove chi è rimasto bloccato a casa propria deve attendere gli elicotteri dell’aeronautica militare che trasportano cibo e medicine. Ettari di boschi e campi non ci sono più, aziende e allevamenti sono irraggiungibili. Sui monti bolognesi ma non solo il peso dell’emergenza causata dalla crisi climatica e dagli smottamenti è tutto sulle spalle dei sindaci e degli abitanti che aiutano gli altri residenti come possono, in piccole località dove la maggior parte della popolazione è anziana e gli strumenti a disposizione non sono sufficienti. “Stiamo facendo tutto da soli e ci sentiamo abbandonati” dice Mauro Ghini, sindaco di Borgo Tossignano, un Comune bolognese che coordina tutte le operazioni di soccorso di diversi altri paesi emiliani.

Mancano escavatori ed esperti – Il Comune di Borgo Tossignano è stato colpito dall’esondazione del vicino fiume Santerno e da svariate frane. Oltre a dover gestire la propria emergenza, dal suo municipio si dirama tutta la rete di assistenza verso gli altri tre comuni della valle. “Ci siamo rimboccati le maniche noi perché dalla Regione non c’è mai stata una vera risposta”, continua Ghini. Le condizioni più critiche sono a Castel del Rio dove circa sessanta famiglie vivono isolate da quando le frane dei giorni scorsi hanno reso inaccessibili tutte le frazioni del comune. Molte strade sono diventate lastre di asfalto piegate su se stesse. In altri punti le carreggiate sono scomparse dentro le voragini. Dei 1200 abitanti del paese uno su dieci è attualmente sfollato. “C’è un’intera montagna da scavare, come possiamo farlo solo con le braccia e i badili?” si chiede il vicesindaco Davide Righini, “abbiamo bisogno di escavatori, operai qualificati e geologi che ci dicano dove e come muoverci. Qui siamo tanti piccoli Davide contro un Golia troppo grande”.

“Aiuti per 14 ore al giorno, insostenibile” – Le frane che interessano Castel del Rio sono quaranta. I primi rilievi li ha fatti una squadra di volontari formata dal tecnico comunale Pierangelo Tossani e qualche abitante. In alcuni casi hanno dovuto arrampicarsi sulle crepe larghe decine di metri per riuscire a fare le foto dall’alto e stimare una sommaria entità del crollo. Li aiutano i Carabinieri della stazione locale e gli altri dipendenti comunali. “Di questo passo le persone rimarranno isolate per settimane”, conclude Tossani. Chi è rimasto bloccato a casa propria non sa quando potrà rivedere i parenti o tornare al lavoro. Alcune grandi ditte della zona provano a fare la differenza mettendo a disposizione le proprie ruspe e i propri camion. Ma il rischio è che, senza numeri e competenze, una volta esaurita buona volontà ed energie le operazioni si blocchino del tutto. “Ci sono volontari che prestano aiuto quattordici ore al giorno – racconta Marcella Pirazzoli, originaria di Castel del Rio – la situazione è insostenibile. Le uniche forze che abbiamo sono le nostre mentre vediamo la montagna che ci crolla sotto gli occhi”.

L’emergenza non finisce dopo le frane – La sproporzione tra l’entità degli smottamenti e le risorse a disposizione aumenta se si prova a pensare al post-emergenza, come spiega il sindaco di Castel del Rio Alberto Baldazzi: “Perché la morfologia del territorio è cambiata. Non si tratta soltanto di ricostruire. Avremo bisogno di milioni di euro e persone qualificate che rimangano con noi per i prossimi anni. Risorse che dovranno arrivare dalla Regione – conclude Baldazzi – perché nelle nostre casse abbiamo soltanto poche migliaia di euro”. Insieme alle strade a Castel del Rio sono collassati decine di ettari di castagni secolari, un albero da cui dipende la maggior parte dell’economia agricola di questa parte del territorio. “Ne abbiamo perduti almeno la metà, alberi che erano lì da trecento anni, insostituibili – commenta Alessandro Franceschelli, imprenditore di un’azienda agricola ed edile – e quelli che sono rimasti in piedi sono irraggiungibili”. Un’altra preoccupazione diffusa tra gli amministratori locali è che la ricostruzione si possa concentrare soprattutto sui tratti principali tra capoluogo, frazioni e strade provinciali, tralasciando le vie considerate minori ma che invece rimangono importanti per i borghi. “Accessi agli agriturismi, ai campi e agli allevamenti, o in località dove vivono poche persone” spiega Gabriele Meluzzi, sindaco di Fontanelice, un altro paese della valle del Santerno in cui si contano decine di frane e ottanta persone evacuate tra cui lo stesso primo cittadino. “Abbiamo stalle piene di vacche che non riusciamo a raggiungere. Per ora trasportiamo le balle di fieno con gli elicotteri per non fare morire gli animali, ma non possiamo continuare così. Il latte lo buttiamo via perché i camion non riescono a ritirarlo. Speriamo ci venga in mente qualche soluzione – conclude Meluzzi – ma la vita qui non tornerà mai più come prima”.

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