Mentre in Italia, teatro del più grande caso di inquinamento da Pfas nel continente europeo, queste sostanze attualmente non sono neppure inserite tra i parametri da monitorare nelle acque destinate al consumo umano e la politica non se ne occupa, numerosi Paesi hanno invece introdotto come limite di sicurezza per la salute umana valori prossimi allo zero riguardo la presenza di Pfas nelle acque potabili. In Europa Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia hanno chiesto di vietarne uso e produzione. Anche perché, secondo i dati del Nordic Council of Ministers, i costi sanitari dell’inazione per tutti i Paesi Ue vanno dai 52 agli 84 miliardi di euro all’anno. Persino negli Stati Uniti la questione non viene più sottovalutata, come dimostrano le prese di posizione sul tema da parte dell’amministrazione Biden.

I limiti introdotti negli altri Paesi per l’acqua potabile – La Danimarca, per esempio, partendo dai dati sulla sicurezza alimentare elaborati da Efsa nel 2020, ha introdotto un limite per la somma di quattro sostanze Pfas (Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs) pari a 2 nanogrammi per litro. Negli Stati Uniti, invece, l’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente (Epa) ha recentemente proposto un valore limite pari a 4 nanogrammi per litro, sia per il Pfoa che per il Pfos. “Nel 2020 l’Europa ha adottato la direttiva 2184 che entrerà in vigore anche in Italia nei prossimi anni – spiega Greenpeace Italia – che prevede un valore limite relativamente alla presenza complessiva di 24 Pfas, pari a 100 nanogrammi per litro. Un provvedimento, quello europeo, che tuttavia non tiene conto dei più recenti parametri Efsa”.

I campioni lombardi sotto altre lenti – La mappa elaborata dall’ong con i dati emersi dall’indagine sulla presenza di Pfas nelle acque potabili lombarde consente di verificare quanti campioni di acqua a uso potabile non rispettano i valori limite più cautelativi vigenti o proposti in altre nazioni come la Danimarca o gli Stati Uniti: “Analizzando i risultati dei campioni inviati si nota come parte dell’acqua della Lombardia sarebbe considerata non potabile secondo i nuovi parametri proposti negli Stati Uniti (il 13,1%) o quelli vigenti in Danimarca (il 13,4%), dove la legislazione è ben più rigida di quella italiana in merito alla presenza di Pfas nell’acqua ad uso umano. A completo dell’analisi, circa 75 campioni lombardi superano il limite proposto dalla stessa Commissione europea.

La proposta di cinque Paesi europei per vietare uso e produzione di Pfas – Ma la battaglia ai Pfas è in atto anche su altri fronti. Agli inizi di febbraio, infatti, cinque Paesi europei (Danimarca, Germania, Svezia, Paesi Bassi e Norvegia) hanno presentato all’ECHA, l’Agenzia europea che si occupa della regolamentazione delle sostanze chimiche prodotte e immesse in commercio, una proposta di revisione del Regolamento REACH del 2006. In un dossier si prendono in esame i rischi ambientali e gli effetti sulla salute di questi composti e si fornisce una valutazione complessiva sull’efficacia, sulla praticabilità, e sulla possibilità di monitorare gli effetti e le conseguenze della proposta, oltre agli impatti socioeconomici. Lo scorso 22 marzo sono così partiti i sei mesi di consultazione pubblica previsti dall’iter normativo in cui vari stakeholder possono inviare osservazioni. Nella proposta si parte dalla definizione di Pfas identificata dall’Ocse e si fa riferimento a oltre 10mila sostanze chimiche: “Non solo i Pfas – spiega Greenpeace – noti per essere persistenti, bioaccumulabili e pericolosi per la salute, ma anche i polimeri che ne derivano, i cosiddetti Fluoropolimeri, come il Ptfe”. Perché se storicamente i Pfas in forma di polimeri sono stati considerati innocui a causa del loro elevato peso molecolare, limite per superare le barriere biologiche di cellule, tessuti e organi, i Fluoropolimeri rispondono comunque al criterio di persistenza e per questo vengono inclusi nella proposta di restrizione.

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