Era il 31 ottobre 1980 quando i cadaveri di due giovani, il 25enne Giorgio Agatino Giammona e il 15enne Antonio Galatola furono ritrovati nelle campagne di un piccolo comune nel catanese, a Giarre, in Sicilia. Erano stati uccisi da un colpo di pistola alla testa: prima si indagò per suicidio, poi per omicidio-suicidio, fino a quando si comprese come in realtà i due giovani fossero stati assassinati perché omosessuali. Oltre quarant’anni dopo quel crimine d’odio è rimasto senza giustizia, i responsabili non sono mai stati trovati. Ma l’omicidio di Giorgio e Toni ha rappresentato uno spartiacque, in un’Italia (e in un Meridione) che ancora considerava l’omossesualità “un crimine, una colpa, un peccato, una malattia. E dove l’omofobia quasi non esisteva nemmeno concettualmente”, ricorda l’ex presidente di Arcigay, Paolo Patanè. “Ci fu una grande reazione civica, in piazza non scesero soltanto partiti e gruppi Lgbt come Fuori! già organizzati, ma si creò un asse che rivendicava giustizia e diritti”, spiega.
Così il 9 dicembre sarebbe nato a Palermo il primo nucleo dello stesso Arcigay, grazie a don Marco Bisceglia, oggi la più importante associazione Lgbtqi+ italiana. Il primo di una serie che incominciarono a sorgere in tutta la penisola.
Un decennio dopo, il 17 maggio 1990, la stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms) decise, dopo un percorso tortuoso, di depennare l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. Quella data, il 17 maggio, è diventata dal 2007 quella in cui l’Unione europea celebra la giornata internazionale contro l’omolesbobitransfobia. E proprio in vista dell’anniversario, anche a Roma è stato organizzato al Teatro Porta Portese, dall’ente culturale Malacoda, l’evento “Uguaglianza nella diversità“, nel corso del quale si sono confrontati alcuni storici ex parlamentari di sinistra: dall’ex segretario nazionale della Fgci e deputato (Pci, Pds e Prc) Pietro Folena, passando per Romana Bianchi, ex responsabile del Gid (Gruppo interparlamentare delle Donne comuniste/di sinistra) all’ex deputata del Pci Angela Maria Bottari, nota per essere stata la prima relatrice della legge 442/1981 che abolì il delitto d’onore.
Bottari e Bianchi facevano parte allora di un gruppo di deputate comuniste e di sinistra che erano entrate nel Pci “attraversate dal femminismo“. “Noi il ‘noi’ lo abbiamo praticato, non predicato. Se non fosse stato così saremmo state travolte da un partito che era indietro sul tema dei diritti, ancora in gran parte maschilista“, rivendica Bottari al Fattoquotidiano.it. “Era pure paternalista, mentre noi avevamo bisogno di affermare un altro modo di stare dentro quel Pci, da donne”, concorda Bianchi.
“Considero la legge sulle persone transessuali come una norma rivoluzionaria“, ricorda Bottari, in merito all’approvazione della legge 164 del 1982, nata sulla spinta della mobilitazione del Movimento italiano transessuali e dei Radicali, e che permise di ottenere la modifica del genere assegnato alla nascita e registrato all’anagrafe. “In quell’Italia parlare di cambio del sesso non era semplice. I Radicali avevano presentato una proposta di legge scarna, noi del gruppo interparlamentare ce ne facemmo carico, per renderla applicabile. E la legge fu approvata, direttamente in commissione, all’unanimità. Eppure nonostante quella norma (e le successive modifiche e sentenze di Cassazione e Consulta, ndr) oggi le discriminazioni continuano”, attacca Bottari.
Questo perché, come ha spiegato anche la coordinatrice dell’Ufficio Diritti Lgbt+ di Roma Capitale, Marilena Grassadonia, esponente di Sinistra italiana, “oggi la legge per i percorsi di transizione è superata, va rivista, come ci dicono le stesse persone che fanno parte della comunità trans”. Ma se la norma per l’autodeterminazione delle persone transgender è ormai obsoleta, lo stesso vale anche per le Unioni civili, approvate dopo 30 anni di attesa in Aula soltanto nel 2016, in ritardo rispetto alla gran parte dei Paesi Ue, e senza stepchild adoption. Ovvero, la possibilità che il genitore non biologico adotti il figlio, naturale o adottivo, del partner. “Bisogna lavorare per il matrimonio egualitario, per estendere le adozioni per tutte e tutti, per pari diritti per i figli e le figlie delle famiglie arcobaleno“, ha continuato Grassadonia, attaccando un “governo Meloni reazionario e conservatore” sul tema dei diritti civili.
“Sono preoccupata perché le donne, la comunità Lgbt+, le lavoratrici rischiano di perdere diritti di fronte alle scelte dell’esecutivo”, ha accusato pure Bottari. Convinta che sia necessario superare la dicotomia tra diritti sociali e civili: Sono inscindibili, la neo segretaria Pd Elly Schlein fa bene a considerarli legati”. Per poi lanciare un appello a Pd, M5s, Terzo Polo e Alleanza Verdi Sinistra: “So che sarà difficile. Ma ora tutte le opposizioni in Parlamento devono trovare un minimo comune denominatore per evitare di fare un grosso regalo a Giorgia Meloni, anche sul tema della difesa dei diritti”.
Anche perché, intanto, come ha ricordato nel corso dell’evento romano Francesco Lepore, ex sacerdote, giornalista e autore de “Il delitto di Giarre” (ed. Rizzoli), il rapporto ILGA-Europe (che monitora le leggi che garantiscono l’uguaglianza in ambiti quali lavoro, scuola e salute, analizzando anche i crimini d’odio, l’autodeterminazione di genere, l’integrità dei corpi, gli spazi per la società civile, il diritto d’asilo) ha visto l’Italia scivolare fino al 34esimo posto, a pari merito con la Georgia.
“Le uniche garanzie presenti nel nostro Paese sono la normativa sul lavoro del 2003, che menziona solo l’orientamento sessuale; la legge Cirinnà del 2016, seppur senza la stepchild adoption, la legge per la riattribuzione del sesso datata 1982, ormai obsoleta, la sentenza della Corte Costituzionale del 2015, che rimuove solamente l’obbligo di interventi chirurgici per la rettifica del sesso anagrafico; la possibilità di richiedere asilo per le persone perseguitate in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere, ottenuta dal 2007”, ricorda pure Gaynet. La stessa associazione che in un rapporto pubblicato in vista della giornata contro l’omolesbobitransfobia registra “tra il 1 aprile 2022 e il 30 marzo 2023, 115 casi di violenze a carattere omolesbobitransfobico di tipo aggressivo e non aggressivo, ma comunque di rilevanza penale, che hanno colpito 165 persone distribuite in 62 località”. Tutto mentre in Italia una legge contro l’omofobia è ormai sparita dall’agenda, complice il cambio di maggioranza, un anno e mezzo dopo l’affossamento del Ddl Zan nell’aula del Senato, tra la vergogna degli applausi del centrodestra, i tradimenti renziani, i numeri mancanti e lo scarso coraggio delle forze progressiste.
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