In Abruzzo la criminalità organizzata ha messo le mani sui finanziamenti europei destinati al settore agro-pastorale. Fondi che invece di servire allo sviluppo di queste terre sono una nuova risorsa per le mafie. A confermarlo è l’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia, che cita i provvedimenti interdittivi emessi nei confronti di quattro aziende zootecniche con sede legale a L’Aquila e Pescara “per collegamenti con organizzazioni mafiose campane e foggiane”. In particolare, il contesto attenzionato dai provvedimenti amministrativi è riconducibile ad aziende agricole – si legge nella relazione – “che mediante raggiri sui pascoli fantasma, avrebbero frodato l’Agea (Agenzia Erogazioni in Agricoltura) al fine di ottenere indebitamente l’erogazione di contributi comunitari e aiuti pubblici per l’alpeggio/monticazione dei capi di bestiame in aree montane dislocate tra le province di Trento (Comune di Bleggio Superiore e di Stenico), Foggia (Comune di Monte Sant’Angelo) e L’Aquila (nell’area del Parco del Gran Sasso e Monti della Laga)”.

Il sistema – Tutto gira attorno ai titoli Pac (Politica Agricola Comune), che rappresentano il valore in base al quale si ha il diritto di avere i contributi comunitari a sostegno dell’agricoltura. I titoli vengono attribuiti a ogni ettaro di superficie: per ogni titolo l’azienda deve avere la disponibilità di un ettaro di terreno. E poiché in Italia il sistema dei titoli non fa differenze tra le varie Regioni, ecco che si scatena la corsa ad accaparrarsi i pascoli montani, solo con l’obiettivo di “coprire i titoli”. E in Italia parliamo di ben 3,2 milioni di ettari. La truffa, dunque, si verifica quando società fittizie, che sui pascoli non allevano né producono assolutamente nulla, riescono a diventare destinatarie di questi fondi. Un sistema che ricorda la mafia dei Nebrodi in Sicilia, colpita dal Protocollo di legalità di Giuseppe Antoci. È sull’isola che viene documentato lo sfruttamento da parte del gruppo mafioso dei Batanesi di terreni dei comuni abruzzesi di L’Aquila, Barisciano, Ofena, Pettorano sul Gizio, Crognaleto, Cortino, Valle Castellana, Rocca Santa Maria, Isola del Gran Sasso, Caramanico e Castel del Monte.

Le interdittive antimafia – Ed è seguendo questo filo che in Abruzzo sono state adottate 4 interdittive antimafia nei confronti di aziende e società agricole. L’ultima è stata emessa dal prefetto di Pescara, Giancarlo di Vincenzo, nei confronti della società agricola Il Frassino. Secondo la prefettura la società “è chiaramente riconducibile alla famiglia Berasi ed in particolar modo ai fratelli Armando e Mariano. Nello specifico gli accertamenti hanno evidenziato nonostante l’utilizzo delle cosiddette scatole cinesi (pur se attualmente nella società agricola non figura nessuno della famiglia Berasi, essendo cessato Mariano Berasi come socio nel 2021) nelle altre società appare evidente invece la partecipazione di Berasi Armando e Mariano”. Chi sono i Berasi? Si tratta di due fratelli citati più volte in passato in varie indagini per reati che vanno dall’associazione a delinquere alla truffa. L’ultima volta nel dicembre del 2019 quando Armando Berasi, come ripercorre la prefettura, viene segnalato dalla Guardia di finanza di San Donà del Piave (Ve) per truffa aggravata e conseguimento di erogazioni pubbliche insieme a Luciano Donadio e Paolo Antonio Valeri, che pochi mesi prima erano stati arrestati nell’inchiesta per infiltrazioni mafiose nel Veneto orientale: Donadio è accusato di essere stato a capo di un cellula del clan dei Casalesi a Eraclea.

Il sistema in uno studio – Nell’interdittiva il prefetto evidenzia come si tratti di un sistema complesso, con varie società collegate tra loro, ma poi riconducibili sempre alle stesse persone: all’interno di ogni azienda viene sempre inserito un soggetto che opera sul territorio. Qualcuno che in pratica si presti al sistema delle “scatole cinesi” per fruire dei fondi Agea. A descriverne nel dettaglio gli ingranaggi è stata una relazione redatta nel 2018 da un gruppo di ricerca scientifica dell’Università dell’Aquila, a cura della professoressa Lina Calandra, che ha raccolto oltre mille testimonianze di agricoltori, ricostruendo i trasferimenti dei titoli Pac. “L’idea che mi sono fatta dalle segnalazioni raccolte durante la ricerca sul campo e, poi, ancor più chiaramente, con il lavoro fatto per ricostruire i trasferimenti dei titoli Pac in capo a soggetti segnalatici in varie regioni d’Italia, è che si tratta di un unico modello criminale organizzato in reti che, d’intesa, si spartiscono l’intero territorio nazionale, sotto il controllo di ‘ndrangheta, camorra, mafia e varie consorterie criminali della Puglia”, spiega la docente. Uno dei tanti casi raccolti dai ricercatori dell’Aquila riguarda tre ditte individuali, che hanno percepito in 5 anni quasi 6 milioni di euro. Una somma che non corrisponde a realtà produttive importanti ma a società che sono sull’orlo del fallimento.

Il controllo del territorio attraverso le intimidazioni – La cosiddetta “Mafia dei pascoli” è stata più volte denunciata dagli allevatori vittime anche di gravi intimidazioni come minacce, incendi e animali avvelenati. Ma anche di morti sospette come il caso di Emiliano Palmieri, un allevatore di 28 anni di Ofena, in provincia dell’Aquila, trovato impiccato a un albero il 16 maggio 2022. Solo due settimane prima il giovane aveva subito un’aggressione riportando una profonda ferita alla testa causata da una pistola, di quelle utilizzate per la macellazione. Prima ancora ignoti avevano avvelenato due cavalli di sua proprietà. Ma Palmieri non è l’unico allevatore trovato morto. Sempre in provincia dell’Aquila, a Pizzoli, Giuliano Anastasio è stato trovato nella sua stalla, pure lui impiccato: dalla morte di Palmieri erano trascorsi soltanto sei giorni. Un altro caso che desta preoccupazione è quello dell’allevatore Dino Rossi, che aveva denunciato ai carabinieri di Sulmona di aver ricevuto una telefonata anonima da un soggetto che voleva incontrarlo dopo alcune sue segnalazioni inviate ai giornali sui “pascoli fantasma”. Lo sconosciuto, secondo quanto scritto nella denuncia, ha detto all’allevatore: “Non sai quello che scrivi chi ti dà queste informazioni? Sono false anche tu ci puoi guadagnare incontriamoci”. Con la sua associazione Cospa Abruzzo, già dal 2013 Rossi aveva denunciato pubblicamente che c’erano delle aziende nate appositamente per fruire dei titoli Agea.

L’interrogazione – La questione della mafia dei pascoli in Abruzzo è finita di recente al centro di un’interrogazione parlamentare, presentata nel gennaio 2023 dalla senatrice dei 5 stelle Gabriella Di Girolamo. “Milioni di fondi europei che dovrebbero andare a sostenere l’allevamento e la pastorizia, attività economiche di estrema rilevanza specialmente qui in Abruzzo, vanno nelle mani della criminalità organizzata. I rincari dei carburanti e delle materie di consumo, stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza delle tante attività legate alla pastorizia presenti nella nostra regione che, oggi più che mai, non possono fare a meno dei contributi economici comunitari, provenienti da Agea”, spiega la senatrice. Che poi chiede: “Ritengo quindi sia necessario un intervento immediato da parte del Ministro, per garantire il regolare flusso contributivo e soprattutto per tutelare i tanti allevatori dalle intimidazioni che mettono a repentaglio la sicurezza di loro stessi, del loro bestiame e dei pascoli assegnatogli”.

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

Egregio direttore,

in riferimento all’ articolo dal titolo “Mafie dei pascoli, interdittive e scatole cinesi: la truffa dei fondi UE è arrivata in Abruzzo”, pubblicato in data 26 aprile 2023 a firma della Giornalista Linda Di Benedetto, sul giornale da lei diretto e nello specifico sul sito www.ilfattoquiotidiano.it, desidero fornire alcune precisazioni. In merito al punto in cui si menziona l’organizzazione mafiosa dei “Batanesi”, mi duole leggere di un legame con il nostro territorio, per la precisione lo sfruttamento dei terreni del Comune di Crognaleto ad opera della sopra menzionata associazione a delinquere di stampo mafioso.

Sono qui a renderLa edotta che già in passato questo Comune aveva smentito tale notizia in quanto questa amministrazione, nell’esercizio delle proprie attribuzioni e competenze in materia di sfruttamento del territorio per uso pascolivo, non ha mai avuto riscontro di aziende zootecniche collegate all’organizzazione mafiosa dei batanesi nè, e questo va dato nota, di altre associazioni mafiose.

A riscontro formale di quanto già espresso in precedenza si vuole porre all’attenzione quello che è il documento ufficiale Governativo relativo alla descrizione del fenomeno della Criminalità Organizzata nel territorio italiano ossia la “Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e risultati conseguiti dalla D.I.A.” (direzione investigativa antimafia) – Semestre Gennaio Giugno 2022, da poco pubblicata.

All’interno della Relazione, per quanto riguarda il comparto provinciale teramano, non vi è traccia alcuna di questo legame criminale tra territorio ed organizzazioni criminali. Ci tengo pertanto a chiederLe una rettifica poichè, sebbene Il Comune di Crognaleto condanni apertamente le mafie, tra l’altro adottando tutti i protocolli volti a prevenirne i rischi di infiltrazione, dall’altro ritengo non corretto riportare notizie non avvalorate da dati comprovati e precisi. Ne va anche dell’immagine del territorio della montagna teramana che ha da vantare un immenso patrimonio non solo ambientale e paesaggistico ma anche di cultura, nello specifico quello della legalità.

Il sindaco di Crognaleto
Persia Orlando

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