Hai keyi“, dicono i cinesi. “Bene, ma non benissimo”, diciamo noi. Il bilancio della visita in Cina di Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen accontenta tutti ma non esalta nessuno: Pechino conferma il suo protagonismo internazionale senza concedere nulla sulla guerra in Ucraina; il presidente francese, accolto in Cina con un bagno di folla, torna ai guai di casa con nuovi accordi commerciali e le pallide rassicurazioni di una futura telefonata tra Xi Jinping e Zelensky; la presidente della Commissione Ue salva una parvenza di “autonomia strategica”, pur allineandosi alle richieste di Washington per una maggiore apertura del mercato cinese.

Cominciamo dal tasto dolente: la guerra. Nei tre giorni di incontri se ne è parlato molto, ma sempre con toni ambigui. Senza nemmeno nominare la Russia, Xi ha chiesto di “riavviare i colloqui di pace il prima possibile . . . tenendo conto delle legittime esigenze di sicurezza delle diverse parti . . . costruendo nel contempo un’architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile.” Poi ha invitato alla “moderazione” “per evitare che la situazione diventi ingovernabile“. Allusione non solo ai bombardamenti russi, ma anche alla vendita di armi occidentali a Kiev. Restano immutati i richiami alla centralità del diritto internazionale. La “novità” più interessante è arrivata insieme alla solita condanna di Xi all’“uso di armi nucleari”. Stavolta però associata esplicitamente alla “sicurezza e protezione dello stabilimento di Zaporizhzhia“, presa di mira da Mosca. Così come sempre contro Mosca andrebbe interpretato il riferimento alle “donne e bambini, vittime del conflitto”.

Per parte francese, d’altronde, c’è la chiara volontà di dare sostanza anche ai punti e alle virgole pur di far passare la visita come un successo diplomatico. Nell’attesa che Xi chiami Zelensky “al momento opportuno”, come avrebbe confidato a Macron di voler fare. Nessun compromesso invece su Taiwan, che il leader ha definito il “fulcro degli interessi della Cina” e che il capo dell’Eliseo ha diligentemente associato alla politica dell’“unica Cina”. Niente di entusiasmante, ma per ora va bene così. Riannodando il dialogo con l’Europa, Pechino ottiene una leva con gli Stati Uniti: congelati i colloqui con i vertici della Casa Bianca, la leadership cinese ha dimostrato di avere ancora ascolto sull’altra sponda dell’Atlantico. Pur confermandosi evasiva sul tema della guerra, la Cina ha saputo soddisfare le aspettative degli ospiti sfoggiando una maggiore “empatia” sul versante economico. Reduce da tre anni di politica Zero Covid, il gigante asiatico è a caccia di investimenti stranieri per sostenere la propria crescita economica. E la performance di inizio anno – superiore alle attese – fa anche più gola alle cancellerie europee ora che l’appetibilità del mercato statunitense risulta compromessa dai tassi in salita e dai fallimenti bancari.

Difficile resistere al canto delle sirene cinesi. Oltre alla firma di vari accordi – inclusa l’apertura di una nuova linea di produzione per gli Airbus a Tianjin – la visita del duo Macron-von der Leyen ha coinciso con l’annuncio della ripresa del dialogo economico-commerciale e digitale Cina-Ue “ad alto livello”. Le relazioni con la Repubblica popolare sono affette da “squilibri critici” – ha detto von der Leyen – ma la soluzione non consiste in un “decoupling” (disaccoppiamento) in stile americano, quanto piuttosto in un “de-risking”, ovvero in un’esclusione dei capitali cinesi nei settori strategici. Per quanto il caso Sinochem-Pirelli (su cui incombe il Golden Power) dimostri come il termine “strategico” sia spesso soggetto a interpretazioni fin troppo restrittive. E’ indicativo che Macron e Xi abbiano ritenuto necessario dover specificare nel loro comunicato congiunto che le aziende cinesi interessate al 5G francese riceveranno un “trattamento equo”. Proprio mentre Berlino invece valuta se bandire Huawei.

Nonostante le minacce contro Taipei e “l’amicizia senza limiti” con Mosca, la Cina ora sa di esercitare ancora un notevole appeal in occidente, e se già prima aveva poca voglia di mediare nella guerra adesso ha un motivo in meno per farlo. Certo, per Pechino gli affari con l’Europa valgono più degli idrocarburi russi a buon mercato. Ma perché dovrebbe scegliere se può averli entrambi? Intanto, per l’Ue diventa sempre più difficile definire una “strategia cinese” comune. Non solo per l’accoglienza speciale riservata da Xi al capo dell’Eliseo, che ha messo in ombra von der Leyen. Da alcuni anni, nel Vecchio Continente, il corteggiamento di Pechino sta provocando un effetto divisivo: funziona bene là dove la diplomazia cinese viene sostanziata da impegni economici concreti. Non è casuale che prima di Macron, a bussare alla porta di Xi siano stati il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente spagnolo, Pedro Sanchez. Nel 2020 – secondo Baker McKenzie – gli investimenti cinesi in Spagna sono aumentati del 362%, mentre negli ultimi dieci anni Francia e Germania (insieme al Regno Unito) hanno attratto circa il 60% degli IDE cinesi nel continente. Lo stesso non si può dire però dell’Europa centro-orientale dove, dal lancio della Belt and Road, le mancate promesse cinesi hanno generato non pochi malumori. Per non parlare della “neutralità filorussa” di Pechino in Ucraina. Sminuire “l’amicizia senza limiti” con Putin come semplice “retorica” serve a poco se Pechino si ostina a chiamare la guerra “crisi”.

Bruxelles cerca di tenere insieme i pezzi come meglio può. La gestione delle relazioni bilaterali attraverso la diplomazia “sarà un fattore determinante per la nostra prosperità economica”, ha spiegato von der Leyen, che ha ricordato come il futuro di Cina e Ue sia costellato di sfide comuni: “il cambiamento climatico, le minacce nucleari, la salute globale, e la stabilità finanziaria globale”. L’appoggio del gigante asiatico è cruciale non solo per risolvere il conflitto russo-ucraino. Ma il sospetto è che, con la fiducia reciproca raso terra, ripeterlo come un mantra serva a crederci. Lo dimostra il richiamo sbrigativo ai diritti umani nel Xinjiang; questione non tangenziale considerato che è costata la sospensione dell’accordo di investimento bilaterale. E, quindi, “hai keyi”: la visita è solo un primo passo. Come rimarcato dalla presidente della Commissione, “nel contesto geopolitico attuale è importante più che mai parlarci e tenere aperte le linee di comunicazione”. Soprattutto se è vero che la Cina si considera “incompresa”. Ora tutti gli occhi sono puntati su Josep Borrell, atteso a Pechino giovedì prossimo. Reduce dal XXIII vertice Cina-Ue, nell’aprile 2022 il capo della diplomazia europea aveva definito quello con Pechino “un dialogo tra sordi”. Speriamo che, a un anno dall’inizio della guerra, stavolta i cinesi non vogliano fingersi anche ciechi.

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