Matteo Messina Denaro aveva fatto secretare la sua scheda medica. Dopo la prima operazione al colon subita il 13 novembre del 2020, aveva firmato un modulo – sotto il falso nome di Andrea Bonafede – perché la scheda scomparisse dal sistema informatico. Un particolare, scovato dai Ros, di non poco conto, soprattutto in merito alle accuse rivolte al medico di famiglia Alfonso Tumbarello. I suoi legali si sono infatti rivolti al Tribunale del riesame impugnando la richiesta di carcerazione della Procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia. Richiesta che è stata giudicata non ammissibile, lo scorso 24 febbraio, dal collegio presieduto da Antonia Pappalardo. Ed è da questo primo confronto tra difesa e accusa di fronte ai giudici che emerge questa richiesta di occultare la scheda medica, cioè di non renderla più visibile nel sistema informatico del Servizio sanitario. Richiesta che qualunque cittadino può fare. In questo caso però a farla era il boss di Castelvetrano, latitante da 30 anni, 28 all’epoca in cui ha firmato questo modulo. Tutto fatto a nome di Andrea Bonafede (classe ’63), paziente di Tumbarello. Secondo la difesa del medico, tutte le richieste di ricovero (due) e le prescrizioni mediche erano fatte senza avere mai davanti il paziente, che aveva fatto espressa richiesta di tenere allo scuro i familiari. Tranne uno, l’altro Andrea Bonafede (classe ’69) cugino del primo, che andava a ritirare tutte le prescrizioni e le richieste per conto del cugino. Le testimonianze, dei due Bonafede e della segretaria di Tumbarello, hanno però presentato più di una contraddizione, facendo ritenere ai giudici non credibile la difesa del medico. Ma c’è un ulteriore tassello che emerge dal giudizio del Riesame, depositato lo scorso 10 marzo, ed è appunto la richiesta di secretare la scheda medica. Tumbarello ha infatti dichiarato di avere compilato la richiesta di ricovero per Andrea Bonafede/Matteo Messina Denaro, non davvero visitandolo come pure era dichiarato nella stessa richiesta ma facendo solo riferimento alla scheda che aveva in archivio nel sistema. Ma di fatto, dopo che il boss, a nome di Bonafede, aveva sottoscritto quel modulo “la scheda sanitaria di Andrea Bonafede risulta non accessibile al medico di famiglia a partire dal 19 dicembre del 2020, per effetto di un’espressa revoca del consenso dello stesso assistito”.

Tutte le prescrizioni mediche successive, quindi, così come la richiesta del secondo ricovero per l’intervento del 4 maggio del 2021, non potevano dunque essere dedotte dalla scheda medica di Bonafede/Messina Denaro. Così, dal primo ricovero, alla richiesta di esami sempre più particolari, a prescrizioni di medicine sempre meno ordinarie, fino al secondo ricovero, il medico non poteva semplicemente dedurre le informazioni dal sistema. Per esempio, “l’11 gennaio 2021 il Tumbarello prescriveva al Bonafede una timoscintigrafia globale corporea (Pet) presso “P.O. ambulatorio di Mazara del Vallo” – scrive la presidente Pappalardo – il 28 gennaio 2021 era invece richiesta l’analisi di mutazione Dna con reazione polimerasica a catena e l’estrazione di Dna o Rna (nucleare o mitocondriale), eseguita presso la Casa di Cura “La Maddalena”, in data 1 febbraio 2021 veniva richiesta l’esecuzione presso la stessa clinica, dell’estrazione di Dna o Rna (nucleare o mitocondriale) e l’analisi di mutazione Dna con reazione polimerasica a catena. Siffatte prescrizioni si susseguivano fino a tutto il novembre 2022, ossia fino a pochi giorni prima del collocamento a riposo del Tumbarello per il raggiungimento del limite di età (settanta anni compiuti in data 9.12.2022). La prima prescrizione di farmaci (un gastroprotettore e l’eparina) effettuata dal Tumbarello, a nome Bonafede Andrea ci. 63, risaliva al 12.5.2021, quindi ad epoca successiva al secondo intervento chirurgico di epatoctomia parziale subito dal Messina Denaro il 4.5.2021”.

Tutto al buio, cioè senza la scheda e senza visitarlo? Non è quel che credono i giudici che hanno rigettato la richiesta della difesa e che scrivono come non fosse possibile che Tumbarello deducesse dal “contenuto della scheda sanitaria del paziente, ossia del contenuto dell’archivio informatico ove il prevenuto aveva annotato la storia clinica del Bonafede”, perché “in rapporto alla prima prescrizione di ricovero del 5.11.2020, detto archivio non poteva di certo recare menzione della patologia tumorale, siccome insorta in epoca coeva alla richiesta di accesso ospedaliero, sia perché, quanto alle prescrizioni di ricovero successive, ove il sanitario afferma di avere tratto “dalla scheda sanitaria”, la dettagliata esposizione dell’evoluzione della patologia tumorale del Bonafede, detto richiamo era in pratica impossibile, avendo il Bonafede cl. ’63 “secretato” anche al proprio medico curante, dal 19 dicembre 2020, la propria scheda sanitaria”.

Poteva, invece, Tumbarello essere rimasto addirittura vittima di un raggiro, beffato dai due Bonafede, considerando che il primo si faceva curare senza mai apparire lasciando al secondo l’incombenza di ritirare le prescrizioni e perfino richiedendo che fosse tutto secretato? Non è quel che ha ritenuto il collegio del Riesame che ha invece sottolineato come “nessuno dei protagonisti di questo escamotage semplice, ma efficace, a partire dai due cugini Bonafede ed a finire con lo stesso latitante, poteva accettare il rischio che il suo ineludibile snodo attuativo, ossia il medico che firmava ed ordinava le prescrizioni ed i ricoveri, potesse anche solo ex post, incontrando il Bonafede del ’63 o richiedendone (come suo dovere) anche una sola volta, la presenza in studio per una visita, rendersi conto dell’artifizio e potesse, quindi, svelarlo agli inquirenti, mettendoli sulle tracce del boss”. Una trafila medica quella seguita da Matteo Messina Denaro sulla quale ancora c’è molto ancora capire, come, sottolineano i giudici del Riesame, per esempio, non è chiaro chi abbia sottoscritto la richiesta per la colonscopia che i primi di novembre del 2020 ha svelato il tumore e dato il là alle cure del boss: “Deve infatti essere ancora dipanata la modalità specifica e concreta della relazione dell’indagato con il Messina Denaro e con il suo circuito di assistenza associativa, ma anche sanitario – scrive la giudice – Si pensi, a titolo esemplificativo, alle modalità delle forme di esecuzione della prima richiesta diagnostica della colonscopia, che il Tumbarello ha escluso fosse allo stesso riferibile, per essersi egli limitato a ricopiare l’esito dell’indagine”.

La Procura di Palermo sta proseguendo le indagini proprio su questo solco, ritenendo che ci sia un regista occulto in tutta la trafila sanitaria di Messina Denaro che non a caso avrebbe richiesto la secretazione della scheda medica: raro che un paziente sia a conoscenza di questa possibilità, per questo i magistrati ritengono che il boss sia stato consigliato. Ma anche indirizzato, per questo infatti dopo il primo intervento a Mazara del Vallo, si sarebbe rivolto prima al primario di oncologia a Trapani e poi a La Maddalena indirizzato da un esperto vicino al latitante. Un’ipotesi sulle quali stanno proseguendo le indagini. L’arresto di Messina Denaro è stato “un importante risultato” ma “non bisogna fermarsi, bisogna capire come mai questa persona sia riuscita a stare libera per tanti anni e chi siano stati i suoi complici”, così ha detto Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio, incontrando gli alunni dell’Istituto comprensivo ‘Giuliana Saladino‘, stamattina a Palermo. “Bisogna guardare avanti – ha aggiunto la più piccola dei figli del magistrato – e non pensare che l’arresto di un grosso mafioso possa essere un punto di arrivo. Non bisogna abbassare la guardia, l’attenzione deve restare alta”.

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