Non sono solo i giovani a lottare per il clima. Un gruppo di 2mila donne svizzere, con un’età media di 73 anni, hanno portato la crisi ecologica davanti alla Corte europea dei diritti umani (Cedu). Si fanno chiamare “Anziane per il clima” e la loro è la prima causa legale discussa a questo livello. Il tribunale di Strasburgo, dal 29 marzo 2023, è chiamato infatti a esaminare l’impatto del collasso ambientale sui diritti dell’uomo e, in particolare, la responsabilità della Svizzera, che non ha, secondo le ricorrenti, attuato strategie di mitigazione e adattamento efficaci. La Cedu potrebbe utilizzare il caso per definire standard chiari da applicare alle future sentenze in materia.

“Alcuni dicono: perché vi lamentate, morirete comunque. Ma noi non vogliamo morire solo perché il nostro governo non è riuscito a elaborare una politica climatica decente”, ha spiegato ai media locali Elisabeth Stern, una delle donne coinvolte. L’associazione, con sede a Zurigo, è appoggiata dal ramo locale di Greenpeace e, per sostenere la sua tesi, parte dai dati sull’elevata mortalità, causata dal caldo estremo, sulla fascia più anziana della popolazione. L’inazione di Berna viola, secondo le ricorrenti, i loro diritti fondamentali.

Quest’azione infatti segue diversi procedimenti locali, terminati senza successo dal 2017, per chiedere alla Svizzera politiche più ambiziose per la riduzione di gas serra, in linea con gli Accordi di Parigi. La Corte di Strasburgo, in passato, ha già riconosciuto gli effetti nocivi per la vita e la salute dei danni ambientali. Mai però ha applicato questa giurisdizione alla crisi climatica: i suoi impatti e le sue responsabilità sono legati a moltissimi attori e fattori. Se la Cedu dovesse accogliere le motivazioni delle “Anziane per il clima”, il governo svizzero sarà obbligato a rimediare alle sue violazioni.

In particolare, dovrà ridurre la produzione di CO2 “di oltre il 60%, invece del 34% previsto finora”, arrivando alla carbon neutrality entro il 2050. Poi, “in quanto paese ricco, con un passato di elevate emissioni”, dovrà agire per la riduzione anche all’estero. Oltre ai numerosi studi scientifici, forniti da organizzazioni terze, soprattutto ONG ambientaliste, le donne porteranno come prova anche la storia giudiziaria della loro causa: sostengono infatti che il sistema svizzero non ha garantito loro un accesso sufficiente alla giustizia e a un ricorso effettivo, garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.

Quest’azione legale potrebbe creare un precedente importante, in tutti i 42 Paesi (Italia compresa) che hanno sottoscritto il documento e stabilito una prassi, in caso i tribunali nazionali rigettino le cause climatiche. La Corte di Strasburgo sta esaminando anche altre due cause sulla crisi climatica: il ricorso presentato dall’ex sindaco di Grande-Synthe, un comune in Francia, e la causa intentata da 32 giovani portoghesi contro 33 Stati. Verosimilmente le utilizzerà per definire uno standard per il futuro, o questo è ciò che le attiviste sperano. La notizia arriva in contemporanea ad un’altra svolta importante per le politiche ecologiche internazionali: l’approvazione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite di una risoluzione per chiedere alla Corte di giustizia dell’Aja di delineare obblighi legali relativi al cambiamento climatico.

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