La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha depositato le motivazioni della censura inflitta, un mese e mezzo fa, ad Alessia Sinatra, magistrata della Procura di Palermo, per avere cercato di ostacolare la carriera del collega Giuseppe Creazzo che l’aveva molestata qualche anno prima. Una decisione inaspettata dato che la Procura Generale della Cassazione ne aveva chiesto l’assoluzione.

“La sanzione”, si legge su ilfattoquotidiano.it“, era legata a “messaggi inviati all’allora leader di Unicost, che auspicavano la bocciatura nella corsa al vertice della Procura di Roma da lei accusato di molestie”. Giuseppe Creazzo, dal canto suo, era stato sanzionato dal Csm nel 2021 per le molestie con la perdita di due mesi di anzianità, poi era seguita l’apertura del provvedimento disciplinare per la magistrata e la sanzione comminata nello scorso febbraio.

La sanzione del Csm è discutibile quando stigmatizza la magistrata per non aver denunciato le molestie. Il giudizio finisce per colpire anche tutte le donne vittime di violenza che scelgono di non rivolgersi ai Palazzi di Giustizia e che sono destinatarie di messaggi sbagliati da parte della stessa magistratura che dovrebbe invece tutelarle e restituire loro sostegno e forza.

Le contraddizioni e i doppi messaggi su un fenomeno complesso come quello della violenza maschile sono il prodotto di pregiudizi misogini e anche di una scarsa formazione dei giudici: lo ha rilevato la Commissione sul femminicidio presieduta da Valeria Valente durante la scorsa legislatura. Si dice alle donne di denunciare e ci sono alcuni magistrati che, in assenza di qualunque dato, interpretano come “false denunce”, una inadeguatezza del sistema giustizia: l’elevato numero di archiviazioni. Nei tribunali civili persiste la confusione tra conflitto e violenza che espone le donne alla vittimizzazione istituzionale quando si dispone l’affido condiviso in presenza di padri violenti e pericolosi. Le sette condanne che, dal 2017 al 2022, la Corte Europea dei diritti umani ha inflitto all’Italia per non aver tutelato vittime di violenza rispecchia la sfiducia delle donne nella giustizia perché temono di non essere credute. Solamente il 27% delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza D.i.Re decidono di sporgere querela e secondo l’Istat solamente il 10% delle vittime di violenza chiede l’intervento della magistratura.

La decisione di non denunciare fatta da qualunque donna vittima di violenza dovrebbe interrogare il Csm su un diffuso sentimento di sfiducia nella giustizia da parte delle donne. A maggior ragione se a non denunciare è stata una magistrata.

Il caso di Alessia Sinatra, alla quale rivolgo la mia solidarietà, è la cartina di tornasole dei reali rapporti di forza tra uomini e donne ovunque si declinino: nelle strade, nelle relazioni sentimentali o nei rapporti di lavoro, nella fabbrica o durante un convegno di magistrati. Le molestie sessuali (come la violenza) sono il sintomo delle asimmetrie di potere fra i generi che si perpetuano non solo mentre viene commesso l’atto, esercizio di dominio fine a se stesso, ma soprattutto dopo.

I reati di violenza e molestie sessuali sono spesso taciuti. Il silenzio delle donne parla della vergogna per l’umiliazione, della paura di non essere credute, della certezza di essere giudicate o guardate con sospetto. Le vittime di violenza per essere credibili devono anche essere all’altezza delle aspettative: devono essere razionali, non emotive, non esprimere rabbia o non apparire vendicative anche se hanno subito dei traumi.

L’Istat ha misurato la portata e la trasversalità del fenomeno delle molestie sessuali: in Italia 8 milioni di donne e 816mila donne hanno subito molestie sui luoghi di lavoro. Le molestie sul lavoro sono svelate dal 20% delle vittime; la violenza invece viene denunciata solamente dall’11,8% delle donne. Che cosa accade quando una donna svela, denuncia, rompe quel silenzio che serve a custodire il decoro di istituzioni, della famiglia, dell’azienda e a garantire che non si incrini l’immagine del molestatore se questo è un uomo di potere o peggio se è un uomo delle istituzioni? Angela Aparecida Rizzo è una carabiniera che nel 2018 è stata sottoposta a procedimento disciplinare per aver parlato delle molestie subite da un superiore. Motivazione: “Avrebbe leso il prestigio istituzionale dell’arma”

La simmetria delle conseguenze per lo svelamento di una molestia sessuale punito lui, punita lei, finisce così per occultare, ancora una volta, la asimmetria dei rapporti di potere tra uomini e donne. Il Csm ha perso l’occasione per riflettere sull’ampiezza e la trasversalità del fenomeno delle molestie sessuali: il problema esiste anche in magistratura?

D.i.Re ha manifestato la solidarietà per la procuratrice e l’associazione Le Onde di Palermo ha commentato che “La sanzione applicata dal Csm alla dottoressa Sinatra è un gravissimo segnale di arretramento delle istituzioni sul fronte del contrasto alla violenza di genere. E il fatto che questo arretramento provenga dall’organo di autogoverno e disciplina della magistratura lo rende ancora più inquietante”.

Dal mio punto di vista sono più che condivisibili le parole di Mario Serio, il difensore di Alessia Sinatra (che farà ricorso in Cassazione) sulle motivazioni del Csm: “Lascia poi sbalorditi il fatto che la motivazione tralasci del tutto l’esposizione del grave fatto di violenza, giudizialmente accertato, da cui la vicenda è nata e trascuri completamente il tremendo impatto psicologico che l’abuso ha determinato nei confronti della vittima, verso la quale si leggono solo parole di biasimo e non una sola parola di comprensione. Il Csm ha perso l’occasione per mostrare vicinanza nei confronti di una donna magistrata travolta da un evento che l’ha annichilita e segnata per sempre , preferendo punirla solo perché interlocutrice di Palamara in ambito strettamente e dolorosamente privato”.

Questa decisione non è un incoraggiamento per le donne, non lo è per quelle che tacciono e nemmeno per quelle che denunciano, tutte consapevoli di dividere il pagamento del conto con chi ha causato il danno.

Si chiama subalternità.

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