Il denaro girava per Milano in borsoni con 270mila euro in contanti, i protagonisti, come nulla fosse, parlavano di come spartirsi profitti e corrompere la Finanza per continuare una pratica che portavano avanti da almeno 20 anni. Ventidue arresti, sequestri per 300 milioni frutto di frodi fiscali e bancarotte messi in atto attraverso una rete di consorzi e cooperative sull’asse Italia-Cina. Per sommi capi, è l’esito della gigantesca operazione condotta dalla Procura di Milano condotta da 250 agenti della Guardia di Finanza. Ma non solo con quelli. “Senza il trojan saremmo rimasti solo a livello di prestanome”, scandisce a un certo punto il procuratore aggiunto Laura Pedio mentre illustra l’operazione, al suo fianco il procuratore capo Marcello Viola. “Decisivo, dico proprio decisivo è stato l’uso dei trojan, strumento senza il quale questa indagine non si poteva fare. Non parliamo di mafia o terrorismo ma di evasione fiscale, ma anche qui si è rivelato fondamentale, senza saremmo rimasti a un primo livello di indagine. In questo momento in cui è in discussione vogliamo ricordare che è uno strumento essenziale ed efficace” conclude Pedio che ha coordinato l’inchiesta dei pm Grazia Colacicco e Pasquale Addesso.

Una risposta indiretta ai vari Nordio, Fabio Pinelli (vicepresidente al Csm) e ai tanti altri che vorrebbero limitare gli spyware. Un’arma che permette invece di contrastare efficacemente un fenomeno che desta “allarme sociale” e mostra, come si è visto già in altre inchieste, “uno spaccato dell’economia reale nel mercato sempre più allarmante, sia per dimensioni che per i livelli di schermatura. Il lavoratore diventa un prodotto che viene venduto a prezzi bassi con un danno rilevantissimo per le casse dello Stato e con effetti devastanti sulla concorrenza, chi vuole operare seguendo le regole viene spazzato via”. Con normali intercettazioni ambientali, questo il punto, mai sarebbe stato possibile andare così a fondo nel sostrato della logistica e dei trasporti del Milanese che dal 2000 al 2020 alimentava operazioni di evasione schermate dietro cooperative “usa e getta”.

Anche perché gli attori di questi crimini si sono fatti sempre più prudenti nei loro “affari”: non parlano al cellulare tramite le linee tradizionali ma usano la rete. Costruiscono sistemi di schermatura sempre più sofisticati, come il ricorso ai prestanome cinesi che fungono da vero e proprio “sistema panbancario” che consente loro di spostare somme di denaro in Cina con “stanze di compensazione” che si muovono da Milano a Napoli. E allora, bisogna proprio entrarci nei telefonini e scavare tra le chat, le foto, gli sms e i videomessaggi che sfuggirebbero a intercettazioni tradizionali.

La Procura di Milano lo ha fatto ed è riuscita così a scoperchiare questo monumentale giro di evasione. Per questo prende posizione sul futuro di quei sistemi di “captazione itinerante” che consentono agli investigatori di assumere il pieno controllo dei cellulari, ma che vengono oggi demonizzati dal partito dell’impunità. Senza, diventa impossibile mettere a fuoco anche i “beneficiari ultimi”, vale a dire la grande committenza dei colossi della logistica. Nelle intercettazioni c’è ad esempio un “consulente” legale di Dhl Supply Chain (colosso della logistica finito al centro di un’altra indagine milanese), che parla con Salvatore Bordo, principale protagonista dell’inchiesta, di come ridurre il costo dei servizi esternalizzati. In un’altra, Bordo, intercettato coi trojan, parla di come svuotare e far gestire “da cittadini marocchini” una delle tante società fallite. A pagina 653 dell’ordinanza si legge pure di quando sonda la possibilità di “pagare la Finanza” per “ammorbidire un po’ i toni”.

L’operazione appena conclusa a Milano impressiona per i numeri. Numeri per altro parziali: le somme contestate si riferiscono infatti alle sole cooperative già fallite. Danno però la dimensione di un fenomeno che – ha proseguito Pedio – “dovrebbe destare maggiore attenzione da parte dello Stato, che si dovrebbe cercare di monitorare e prevenire. Noi qua in Procura abbiamo stilato un protocollo con l’Inps sulle anomalie del mercato del lavoro e ci auguriamo che i contributi del Pnrr vadano a implementare i sistemi informatici dell’Inps e dell’Agenzia delle Entrate e che possano funzionare in modo più efficace per intercettare meglio questi fenomeni”. Non è dato sapere quanto sarà effettivamente recuperato all’Erario grazie all’indagine milanese, ma se consentisse di riavere anche solo un decimo di quanto accertato, vale a dire 27 milioni di euro, il costo per i servizi d’intercettazione saranno ben ripagati. Un’altra freccia in meno all’arco di chi bolla come “spreco” uno strumento che permette di stroncare fenomeni criminali che danneggiano tutti: i lavoratori (spesso extracomunitari), le impese oneste e i contribuenti.

Sulla presa di posizione dei pm milanesi plana il Movimento Cinque Stelle. I rappresentanti del M5S nelle commissioni Giustizia della Camera e del Senato attaccano la maggioranza e Azione-Iv “impegnati senza sosta a smantellare i principali baluardi normativi contro il malaffare dei colletti bianchi, proprio quello emerso dall’inchiesta di Milano”. Rivendicano di aver esteso con la legge Spazzacorrotti l’uso del trojan ai reati contro la PA. “Le bufale della maggioranza allargata a Renzi e Calenda sono state smentite dalla stessa magistratura e dai dati emersi nell’indagine conoscitiva in corso al Senato: su intercettazioni e trojan gli addetti ai lavori hanno ribadito che non c’è alcun abuso, né quantitativo né in riferimento alla diffusione illecita dei contenuti, il numero complessivo delle intercettazioni negli ultimi anni è addirittura in calo. E’ ora di smetterla con la disinformazione che strizza l’occhio all’impunità – concludono -, l’Italia ha bisogno di legalità, diritti e giustizia sociale”.

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