“Se, secondo l’Istat, il reddito di cittadinanza in questi anni ha tolto la povertà a più di un milione di persone, con questa ‘Misura di inclusione attiva’ osserveremo un simmetrico effetto negativo e tutte queste persone rientreranno in condizioni di povertà”. Così Chiara Saraceno, sociologa esperta di povertà e politiche sociali, a margine della presentazione genovese del suo ultimo libro, “La povertà in Italia”, boccia lo smantellamento del reddito di cittadinanza e la sua sostituzione con il “Mia”.

Nel prendere questa decisione il governo non teme ripercussioni, spiega la ricercatrice che era stata chiamata dal governo Draghi a presiedere il comitato scientifico per la riforma del reddito di cittadinanza, perché “queste persone nella maggior parte dei casi non votano e sono persone rispetto alle quali questo governo, ma non solo purtroppo, ha un profondo disprezzo”.

Un disprezzo dei poveri perché colpevolizzati, “perché sono stati raccontati come persone che non vogliono lavorare, o non accettano qualsiasi lavoro”. Per la ricercatrice “la povertà è un fenomeno multidimensionale e complesso, non legato soltanto alla mancanza di lavoro”. Per questo è impossibile confondere un sostegno al reddito o forme di sussidio analoghe come forme di politiche attive del lavoro: “Della povertà in Italia sono corresponsabili la crescente precarietà del mercato del lavoro, i bassi tassi di occupazione femminile, la frammentazione e l’eterogeneità del sistema di protezione sociale, la scarsa e diseguale disponibilità di servizi di conciliazione famiglia-lavoro, le forti differenze territoriali”.

Secondo Chiara Saraceno in questi anni è passata l’idea che il lavoro ci sarebbe, se solo queste persone “avessero voglia” di impegnarsi e alzarsi dal divano: “Ma chi crede a questa retorica non capisce che il mercato del lavoro non ha dimostrato di riuscire ad assorbire questo tipo di persone che i dati ci descrivono chiaramente come mediamente pochissimo qualificati, spesso senza neanche la scuola dell’obbligo e con un lungo periodo di disoccupazione o discontinuità occupazionale alle spalle”. Molti dei percettori restano quindi “occupabili” ai fini delle statistiche, ma andando a valutare i singoli casi lo sono solo in linea teorica.

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