Ancora uno stop per il maxiprocesso “China Truck” che si celebra al tribunale Prato. O meglio, una falsa partenza: la data della prima udienza del dibattimento è slittata un’altra volta per un difetto di notifica a quattro dei 55 imputati di origine cinese, coinvolti nell’inchiesta sulla presunta associazione per delinquere di stampo mafioso. Il processo è stato quindi aggiornato al 26 maggio, cioè oltre un anno dopo rispetto al 16 febbraio 2022, giorno in cui sarebbe dovuto iniziare. Il presidente del collegio giudicante Matteo Cavedoni ha spiegato in aula che non sono stati comunicati gli esiti di quattro notifiche disposte a novembre (3 delegate alla questura di Prato e una a quella di Milano). La prossima volta, ha specificato il giudice, il tribunale provvederà a sollecitare per telefono gli uffici della polizia giudiziaria per avere un riscontro ufficiale ed evitare ulteriori intoppi. In ogni caso, se entro il 26 maggio non verranno risolti questi problemi, le posizioni dei quattro imputati irreperibili saranno stralciate per evitare nuovi slittamenti.

Tra problemi nella consegna delle notifiche e lo smarrimento dei faldoni, che avevano rallentato il processo nei mesi scorsi, la vicenda “China Truck” sembra destinata a non concludersi a breve. Aperta oltre dieci anni fa, nel 2018 l’inchiesta della Dda di Firenze e della squadra mobile di Prato portò all’esecuzione di decine di ordinanze di custodia cautelare, la maggior parte delle quali ai danni di cittadini di origine cinese.

Per l’accusa – rappresentata in aula dal pm Lorenzo Gestri della Dda di Firenze che ha ereditato il fascicolo dal collega Eligio Paolini – gli imputati appartengono a un’organizzazione criminale che, con metodi mafiosi, controllava lo spostamento delle merci in partenza in arrivo dalle aziende cinesi di buona parte dell’Europa. Un business redditizio in cui l’associazione, le cui basi operative si trovavano a Prato e a Roma, si era imposta con metodi violenti. Da questa posizione di supremazia, secondo gli inquirenti, la presunta organizzazione mafiosa cinese imponeva agli imprenditori di lavorare solo con le ditte di trasporto affiliate. Ma lo spostamento su gomma delle merci era solo uno dei settori in cui il sodalizio criminale sviluppava i suoi affari. L’inchiesta, infatti, ha portato a ricostruire una serie di traffici illeciti paralleli, grazie ai quali il sistema pratese si era ramificato sul territorio italiano e non solo. Tra questi lo spaccio di droga, l’usura, il gioco d’azzardo, l’estorsione e lo sfruttamento della prostituzione.

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