Gli organi di stampa, all’unisono, nel rendere noto l’arresto di Matteo Messina Denaro hanno dato risalto alla tragica vicenda del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino Di Matteo, addebitando a Messina Denaro la responsabilità della morte e susseguente disfacimento del corpicino mediante l’acido. E no! Messina Denaro è corresponsabile sì del sequestro, ma non fu lui che strangolò Giuseppe.

Nel sequestro, la carcerazione e la tragica fine di Giuseppe concorsero a vario titolo tantissimi mafiosi e altri appartenenti a numerosi mandamenti. Alcuni degli attori erano da me conosciuti personalmente da pregressa attività investigativa. Addirittura uno di loro era stato da me arrestato tantissimi anni fa dopo un inseguimento a piedi e che un paio di anni fa era pronto a prendere il posto di Totò Riina al comando di Cosa nostra, ma fu arrestato dall’Arma. Pertanto affermare che Matteo Messina Denaro sia stato colui che uccise e sciolse nell’acido Giuseppe è una distorsione della verità. La decisione fu presa da Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Giuseppe Graviano e anche Messina Denaro. Il sequestro nacque per far ritrattare il padre di Giuseppe, Santino “mezzanasca” Di Matteo, che stava collaborando con noi della Dia.

Le successive indagini svelarono il coinvolgimento di tantissimi mafiosi, soprattutto per i vari spostamenti a cui il bambino fu sottoposto: un esercito di menti bacate che pomposamente si facevano e in parte si fanno chiamare ancora oggi, uomini d’onore. Noi della Dia avemmo un’intuizione e compimmo un blitz proprio nella villa di tale Giuseppe Monticciolo a San Giuseppe Jato, nella speranza di trovare il piccolo Giuseppe. Il Monticciolo era un emerito sconosciuto, ma le investigazioni acclararono poi, che egli ebbe un ruolo di primissimo piano. Anzi, Monticciolo, insieme a Vincenzo Chiodo ed Enzo Brusca, fu uno degli esecutori materiali nell’uccisione di Giuseppe procurando egli stesso i bidoni dell’acido.

Scrivo lo stralcio della sentenza – Omicidio Di Matteo. Bagarella 59, pag. 420: “erano scesi nel sotterraneo e avevano invitato il piccolo Di Matteo a scrivere una lettera al nonno nella quale lamentava di essere stato abbandonato da tutti. Erano poi risaliti al piano superiore per cenare. Avevano poi preparato il cappio ed erano ridiscesi nel bunker dove avevano già portato i due fusti di acido e il fusto metallico e si erano apprestati a compiere la macabra operazione dello strangolamento. Aveva il chiodo, infatti, fatto poggiare il bambino al muro e gli aveva cinto il collo con la corda tirandola aiutato dagli altri. Il bimbo era caduto a terra; il Monticciolo gli aveva tenuto le braccia ferme, mentre Brusca Enzo gli era salito sulle ginocchia per non farlo muovere. Il bimbo non aveva opposto nessuna resistenza. Sembrava fatto di burro ed era molle.”

Era l’11 gennaio 1996. Maledetti, maledetti e maledetti. Nella mattinata del blitz ebbi un battibecco col padre di Giuseppe Monticciolo. Era successo che nessuno rispondeva ai vani tentativi per farci aprire la porta d’ingresso e quindi fummo costretti a sfondarla. Nella villa non c’era nessuno. Mentre era in corso la perquisizione alla ricerca anche di eventuale bunker o nascondigli giunse il padre che vedendo la porta rotta si rivolse – molto risentito – al sottoscritto chiedendomi di risarcire il danno. Risposta telegrafica: “faccia domanda alla Prefettura. Vedrà che sarà risarcito”.

Ma ora devo fare una considerazione d‘ordine morale pensando che Brusca Giovanni era padre di un bambino. L’input del sequestro e successivo omicidio dell’angioletto Giuseppe Di Matteo, lo avrebbe dato proprio lui il Verro (maiale) Giovanni Brusca e tutto questo mentre noi, quasi ogni mattina e pomeriggio, “accompagnavamo” (pedinando) sua moglie col suo bambino sino all’asilo. Il 20 febbraio – giorno del compleanno di Brusca – fummo sfortunati: eravamo pronti per intervenire durante la consegna del regalo che la moglie gli aveva comprato qualche giorno prima. E qui mi taccio, non posso aggiungere altro.

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