E’ morto a 79 anni Enzo Carra, ex parlamentare dell’Udc e della Margherita e prima ancora ex portavoce della Democrazia Cristiana quando era segretario Arnaldo Forlani. Aveva 79 anni. I funerali sono in programma sabato 4 febbraio, alle 11, alla chiesa di Sant’Andrea al Quirinale. “Un uomo buono, colto, intelligente – lo ricorda tra gli altri l’ex ministro Dario Franceschini – Un pezzo di storia della Democrazia Cristiana e un testimone di cosa deve essere la politica. Per me e per molti di noi un amico vero che ci mancherà”. Tra le altre personalità che lo hanno ricordato anche gli ex colleghi democristiani Lorenzo Cesa, Gianfranco Rotondi ed Enzo Scotti, oltre ad alcuni esponenti del polo centrista Azione-Italia Viva (da Ettore Rosato a Matteo Richetti) e molti ex appartenenti alla Margherita, dal segretario uscente del Pd Enrico Letta all’ex senatore dem Andrea Marcucci.

Carra era nato a Roma l’8 agosto del 1943. Giornalista professionista, a 22 anni si occupava già di critica cinematografica, fondando anche un giornale, Il Dramma. Negli anni Settanta l’approdo al Tempo, prima come redattore politico e poi come editorialista. Al giornale della destra romana rimane fino al 1987. Due anni più tardi è capoufficio stampa della Dc. Il suo nome fu legato anche a Tangentopoli e in particolare alla maxi tangente Enimont. In particolare suscitò clamore l’immagine che rimbalzò sui giornali nel marzo 1993 quando fu condotto dal carcere al tribunale con i cosiddetti “schiavettoni” (cioè le manette con la catena) ai polsi. La foto provocò non poche polemiche a livello politico. Lo stesso Carra poi parlò dell’accaduto in un’intervista a Mixer con Giovanni Minoli. Di recente Carra era tornato sull’episodio con un’intervista al Corriere della Sera: “Ero in una delle camere di sicurezza ai piani bassi del tribunale di Milano, dovevano portarmi su per la prima udienza del processo. Gli altri detenuti con cui ero arrivato da San Vittore erano già andati via. Capisco che tocca a me perché due carabinieri aprono la cella e fanno per prendermi sottobraccio. C’era nelle vicinanze un telefono, che a un certo punto squilla. Un maresciallo risponde, fa una smorfia contrariata, un cenno ai due colleghi… Là dietro c’erano una serie di questi strumenti: manette semplici, manette un po’ più complesse, degli schiavettoni che servivano a tenere insieme due o più detenuti. Il resto lo può immaginare da solo…”. Carra aggiunse che “lo show, se era uno show, andò male per chi l’aveva congegnato. Quando arrivai nei corridoi pieno di cronisti, invece degli applausi che di solito accompagnavano gli arresti, si levò un brusio di insofferenza. Qualcuno mi salutava, altri manifestavano solidarietà…”. Va precisato, come emerso già all’epoca, che l’uso degli schiavettoni era previsto per legge (per non far fuggire i detenuti, com’è evidente). La circostanza fu sottolineata anche da un gruppo di detenuti con una lettera che fu pubblicata all’epoca dalla Stampa e che, anch’essa, viene spesso ricordata in relazione a questa vicenda. “Sappiamo – scrissero – che c’è una legge che vieta l’uso indiscriminato degli schiavettoni (manette con catena), ma con noi non è mai stata applicata. Anzi, con noi vengono usati in tutti i trasferimenti, ben stretti in modo da farci male. Non ci vengono neanche tolti nella gabbia del treno, sul lettino dell’ospedale, per andare al gabinetto. Anche noi appariamo in catene sui giornali prima di essere giudicati, ma non ci risulta che ciò abbia stimolato un dibattito. Oggi in classe ci siamo domandati quali differenze esistano tra noi e il signor Carra. Al quale, in ogni caso, esprimiamo solidarietà”.

Nel merito dell’inchiesta Carra fu arrestato e processato per “false o reticenti informazioni rese al pm“. Il suo nome fu tirato in ballo da Graziano Moro, stretto collaboratore del vicesegretario della Dc Silvio Lega, in relazione ai 5 miliardi ricevuti dal partito per l’operazione Enimont. Carra negò di aver mai parlato a Moro dei 5 miliardi, mentre Moro confermò la versione aggiungendo particolari. In primo grado Carra fu condannato a 2 anni (con pena sospesa) che la Corte d’Appello ridusse a un anno e 4 mesi, pena poi confermata dalla Corte di Cassazione. Tra le altre cose i giudici d’appello parlarono di un “poco apprezzabile sentimento di omertà” dell’imputato che, con le sue dichiarazioni ai magistrati, ostacolò lo svolgimento delle indagini. Carra ha poi chiesto e ottenuto nel 2004 la “riabilitazione”, provvedimento che annulla tutti gli effetti penali della sentenza.

Dopo gli ultimi effetti della vicenda giudiziaria Carra è tornato all’attività giornalistica ed è stato autore per la Rai di inchieste televisive, tra cui un reportage a Cuba dopo la visita di Papa Giovanni Paolo II, un’intervista a Gheddafi durante l’embargo alla Libia e quella che sarà l’ultima intervista a Madre Teresa di Calcutta. Il ritorno alla politica attiva lo riporterà in Parlamento nel 2001 con la Margherita, elezione riconfermata nel 2006 e nel 2008, sempre con il centrosinistra. Lascerà il Pd per l’Udc nel 2010. Da parlamentare ha portato all’approvazione del disegno di legge sull’equo compenso per i giornalisti.

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