A quasi un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina, tutto riguardo a questa guerra appare surreale e mediatico, aggettivi grazie ai quali il grande pubblico non troverà mai il filo di quanto sta accadendo. Nonostante da un anno si combatta lungo i confini dell’Unione Europea e cioè ad appena due ore di volo dalle grandi capitali del vecchio continente, la guerra a noi europei appare geograficamente lontanissima, come geograficamente lontanissima era l’Ucraina dietro la cortina di ferro. Eppure, l’uomo che la simboleggia, il presidente Volodymyr Zelensky è di casa in tutta Europa. Saggio come il Papa, coraggioso come Robin Hood e popolare come l’amico Sean Penn, Zelensky fa capolino nei nostri salotti attraverso i televisori, i monitor dei computer, i telefonini e i social.

La sua voce è riconoscibile come quella di Silvio Berlusconi o di Boris Johnson. Grazie ai contatti con i big del mondo del cinema e dello spettacolo – il cui coinvolgimento ha reso possibile vestire il conflitto con il manto dicotomico hollywoodiano bene/male, democrazia/oppressione, libertà/dittatura – Zelensky appare regolarmente in video link a eventi mondani, ad esempio la cerimonia dei Grammy, eventi che non hanno nulla a che fare con la politica o la sicurezza nazionale dell’Ucraina o del nostro continente.

I suoi cammei mediatici sono sempre e volutamente uguali. Vestito con i colori della guerra, dal verde bottiglia al marrone terra bruciata, spesso circondato dai simboli dell’Ucraina libera seduto alla scrivania con dietro l’immancabile bandiera nazionale. Zelensky compare come un’icona e subito si apre una finestra su un’altra dimensione, diametralmente opposta a quella festaiola e celebrativa che lo ospita. Cambia l’atmosfera in sala. Senza preamboli, non domanda. Esige armi per difendere il suo e il nostro paese da un nemico globale pronto a fagocitare tutto il mondo libero. Il tono non è di chi elemosina gli aiuti, ma è di chi ne ha diritto perché l’Ucraina è il baluardo della libertà, della democrazia, dell’indipendenza occidentali.

Questi cammei sono potenti strumenti di comunicazione, dove il Zelensky politico si è fuso perfettamente con il Zelensky attore e comico. E funzionano per questo motivo. Ad ascoltarlo sembra che la Rivoluzione francese sia avvenuta a Kiev, che la prima monarchia parlamentare sia nata in Ucraina e che l’Ucraina sia sempre stata la culla della democrazia europea. Tanto il riciclaggio storico funziona che i cammei diventano una pausa di penitenza nel bel mezzo dell’ennesima celebrazione dei volti celebri, dei famosi, dei ricchi, dei privilegiati, dei belli; su questo sfondo surreale, lontanissimo dal quotidiano degli spettatori, le parole di Zelensky innescano il giusto senso di colpa e la corretta dose di rabbia che fanno sentire chi lo ascolta partecipe delle tragedie altrui mentre sta comodamente seduto sul divano di casa a guardare l’ennesimo programma di varietà.

Si tratta di sentimenti molto simili a quelli che il pubblico prova guardando un film di Hollywood sull’olocausto, o sulla guerra nel Vietnam o su qualsiasi storia di profonda ingiustizia sgranocchiando popcorn al cinema. A pellicola finita si torna a casa, si “rientra” nella realtà dopo aver provato dolore, rabbia, orrore durante una sua rappresentazione. Ma la guerra in Ucraina è vera. Il pericolo della rappresentazione storica, attraverso questo tipo di manipolazione mediatica, è la semplificazione della realtà e la distanza esistenziale dalla verità. La guerra in Ucraina non è una pellicola o un video gioco reality, la guerra è un’atrocità costante che ti dilania dentro. E’ la paura permanente di morire. E’ la deumanizzazione dell’individuo ed è per questo che in tutte le guerre il confine tra bene e male è in costantemente movimento. Non è mai un punto fisso. Per ogni carro armato che Zelensky chiede, un numero imprecisato di vite verranno perse, come per ogni carro armato che Vladimir Putin invia al fronte. Le armi uccidono per davvero.

Nei suoi cammei Zelensky non parla mai di queste cose, né menziona i dati chiave della guerra: morti civili e militari. Nessuno ce li fornisce. Durante la guerra in Iraq c’erano diversi siti che contavano il numero dei morti, militari e civili. Una ricerca online sul numero delle vittime in Ucraina produce numeri diversi, per la maggior parte contenuti in articoli. Secondo questo sito il conflitto è tra i 10 peggiori per numero di morti dal 1812. In appena un anno si stima che questi siano tra i 300 ed i 400 mila. Ma nessuno ha idea del numero reale. Stesso discorso vale per le armi che Zelensky chiede in continuazione. Quante sono andate distrutte? Abbandonate tra le macerie del paese? E che dire delle città, quante di queste sono state rase al suolo?

E’ la prima volta che ci troviamo di fronte a questo tipo di propaganda, in parte perché la moderna tecnologia ce lo permette, ma in parte perché il confine tra la realtà e la sua rappresentazione cinematografica sta velocemente evaporando. In un certo senso fenomeni come Netflix o Instagram ci stanno preparando al metaverse facilitano la transizione in un mondo parallelo fatto di pixel. In questo universo tutto, anche la guerra è una rappresentazione vissuta come realtà. E’ possibile che Zelensky e i suoi amici dello spettacolo questo lo sappiano. E’ possibile che volutamente i cammei si aprano nei momenti di euforia di massa, nei varietà. In questo contesto, fuori dalla realtà vera ma dentro quella rappresentativa, la richiesta di altre armi, di nuovi carri armati e contraeree appare plausibile giustificata e quindi da sostenere.

Sostenere Zelensky è come fare il tifo per coloro che sul grande schermo stanno cercando l’ultimo figlio in vita della madre che ha perso tutti gli altrui nella guerra. Chi non ha provato questo sentimento mentre al cinema guardava Saving Private Ryan? E anche la pausa di penitenza è azzeccata, come fare il tifo per il ritrovamento di Private Ryan ci fa sentire meglio, così partecipare alla tragedia in Ucraina guardando i camei di Zelensky ci decolpevolizza per essere diventati tanto superficiali e francamente anche tanto stupidi. In questo contesto poteva il cammeo di Zelensky mancare a Sanremo?

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