Quando nel maggio del 2012 il terremoto squassò l’Emilia-Romagna anche Veneto e Lombardia tremarono e in particolare molti danni furono registrati a Mantova, anche al patrimonio storico, artistico e architettonico della città. Per questo, come per altre zone colpite dal sisma, furono stanziati fondi per ricostruzione o restauro. A gestire le pratiche era stato aggiunto un tecnico, l’architetto Giuseppe Todaro, 36 anni. Ed è lui secondo il giudice per le indagini preliminari, Andrea Gaboardi, “perno” del sistema che prevedeva corruzioni e concussioni. L’ipotesi dell’Antimafia di Brescia è che alcuni committenti dei lavori di ristrutturazioni venissero convinti ad affidare alla ditta Bondeno (intestata a una prestanome) di Raffaele Todaro (padre del tecnico, ndr” con la minaccia di perdere i contribuiti, ma anche l’incasso del 3% sulle pratiche trattate con una maggiore velocità da parte degli imprenditori interessati a vedere il loro fascicolo sempre in cima alla lista. A Giuseppe Todaro, nipote del boss Antonio Dragone (capo-bastone dell’omonima cosca di ‘ndrangheta insediata a Cutro, ucciso nel contesto di un agguato nel 2004 perdente rispetto alla cosca Grande Aracri), viene contestato di aver favorito proprio la cosca del nonno materno. Al tecnico spettava la gestione delle pratiche del cratere sismico” della provincia di Mantova (Poggio Rusco, Borgo Mantovano, Magnacavallo, Sermide e Felonica): era incaricato di istruttorie, di verifica, di rendicontazione e di autorizzazione ai pagamenti dei contributi a fondo perduto stanziati da Regione Lombardia per gli immobili danneggiati dal terremoto del 2012. Il professionista ha avuto l’incarico dall’agosto del 2014 almeno fino al 31 dicembre del 2021.

L’esposto e l’articolo del fattoquotidiano.it – Ed è stato agli uffici del Pirellone che è partita la prima segnalazione con la presentazione di un esposto trasmesso dalla “Struttura commissariale per l’emergenza e la ricostruzione di territori lombardi colpiti dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012”, nel quale erano raccolte le lamentele di un geometra per i comportamenti di Todaro. Ovvero l’individuazione delle imprese esecutrici dei lavori privati ammesse ai finanziamenti pubblici come la Bondeno di fatto riconducibile al nucleo familiare dello stesso architetto Todaro. Il geometra che ha denunciato aveva allegato alle sue lamentale anche un articolo del Fattoquotidiano.it del 16 luglio 2019 di Paolo Bonacini proprio sui legami di parentela e alle relazioni di affari di Todaro e il suo presunto coinvolgimento nella gestione di una fitta rete di società edili e immobiliari attive nella provincia di Mantova e in quelle limitrofe, alcune delle quali già interessate da provvedimenti antimafia emessi dal Prefetto (diniego di iscrizione nella “White List”) per la comprovata esistenza di pericoli di infiltrazioni ad opera della criminalità organizzata di origine calabrese. Al geometra che ha denunciato, Todaro aveva intensione di fare “terra bruciata”. Al loro primo incontro Todaro, che aveva ereditato la pratica e cominciato a creare difficoltà, aveva detto: Ti posso venire incontro, consegna la pratica perché io ho urgenza di presentarla alla Regione”.

Le minacce e le tangenti – Gli imprenditori, così come i beneficiari dei finanziamenti, si sarebbero rapportati con il tecnico secondo uno schema collaudato: la mazzetta pari al 3% del contributo per garantirsi la trattazione della pratica e con aumenti dell’importo del contributo pubblico a fondo perduto (in un caso a 950.000 euro anziché 595.000 come originariamente stabilito). Nel capitolo corruzione ci sono i 25mila euro ricevuti, secondo gli inquirenti, da un tecnico privato per conto un appaltatore dei lavori, anche lui arrestato, e versata in quattro tranche per far lievitare di centinaia di migliaia di euro il contributo regionale dovuto e “ammorbidire” i controlli sui lavori. La concussione prevedeva che il contributo pubblico fosse elargito ai richiedenti solo a condizione che affidassero i lavori di ricostruzione a delle società facenti capo al tecnico istruttore e al padre di questi. Le società, che di fatto sarebbero state gestite dal padre del pubblico ufficiale, erano intestate a prestanomi per evitare il diniego di iscrizione nella white list. Un altro episodio contestato è quello nei confronti di un altro geometra che ha spiegato di aver accettato l’impresa da Todaro “per non avere problemi” e perché aveva “avuto paura in considerazione del fatto (di avere) un bambino piccolo”.

L’importanza delle intercettazioni – Per le indagini sono state fondamentali le intercettazioni come sottolinea più volte il gip nell’ordinanza di custodia cautelare sulla corruzione. “La principale fonte di prova dei pactum sceleris è rappresentata dalla conversazione” di Todaro con gli altri indagati in cui si discute dei soldi. Come quella del 27 ottobre 2020 quando discute con un ingegnere – anche lui coinvolto nell’inchiesta. “Scusa .. però ci devi dare una mano … perché … altrimenti”: .. mi mi mi ingrippo … allòra tu hai detto che hai dato settecento mila euro …” dice l’ingegnere a Todaro che risponde di non ricordare la somma. “Mah ma in contanti-~: ci siamo .. ~ però … loro han preso duecento … duecento e qualcosa· … quindi han preso· il venti percento .. _ con qui te sei al settantacinque percento .. -perché hai preso quindici su venti”. I conti sembrano non tornare e allora l’ingegnere fa riferimento a un “fogliettino giallo”. Todaro quindi dice: “Io ho preso… “, “Dodici e mezzo più … più due e cinque” conclude l’altro. La conversazione continua sul dare e avere con l’ingegnere che protesta perché ha anticipato dei soldi da parte del committente che nel frattempo è morto. “Figa… perché loro … adesso io .. gli devo … ho fatto “‘ho tirato fuori ancora questi due e cinque … per sbloccare il SAL … in modo che prendono i soldi e che restituiranno …”. Il tecnico a un certo punto dice di fidarsi e l’altro risponde: “No, contali”.

L’aggravante mafiosa e il legame con il boss Dragone – Il gip, che ha accolto l’ipotesi della Dda sull’aggravante mafiosa, sottolinea che legami tra i Todaro e la famiglia ‘ndranghetistica di origine “non si sono limitati ai rapporti di parentela/affinità, ma si sono concretizzati nel corso del tempo in multiformi e rilevanti apporti al sodalizio criminale, proseguiti – quantomeno sotto il profilo del sostegno economico alle attività (lecite e iliecite) e ai membri del gruppo” anche con riferito a ai reati contestati.

Raffaele Todaro ha “svolto un ruolo cruciale durante il periodo di detenzione del capocosca Dragone Antonio, fungendo da suo interlocutore privilegiato (attraverso la regolare partecipazione a colloqui in carcere unitamente a Dragone Caterina) e da cassa di propagazione verso l’esterno degli ordini e delle direttive di quest’ultimo, tendenti alla riorganizzazione del sodalizio (in concorrenza ed opposizione ai Grande Aracri), nonché alla continuazione delle relative attività illecite tanto in territorio calabrese quanto nell’area lombarda-emiliana. A riprova del ruolo di prim’ordine rivestito in seno al sodalizio vi è, del resto, il fatto che, nei corso dei colloqui in carcere – scrive il gip – ha interloquito con il boss anche in ordine all’ideazione e alla programmazione di fatti omicidiari inseriti nella citata faida tra clan, facendosi latore verso gli altri appartenenti all’associazione delle strategie escogitate da Dragone Antonio per contrastare l’ascesa della cosca rivale dei Grande Aracri e per disarticolarne la compagine…”. Per il gip Todaro “sfruttando la propria indubbia abilità affaristica e la sua capacità di mimetizzarsi dietro il paravento di attività apparentemente lecite – si è, poi, posto quale longa manus operativa del boss Dragone Antonio nella gestione di un gruppo omogeneo di imprenditori edili di origine cutrese e operanti nella provincia reggiana finalizzato ad ottenere, in forza di accordi illeciti, l’aggiudicazione di appalti banditi da enti pubblici e privati locali mediante la presentazione di offerte con sensibili ribassi sulla base d’asta, ribassi resi possibili subappaltando le opere ad imprese “fantasma”, fungenti da mere “cartiere” impiegate per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, a loro volta utili vuoi per il contenimento dei costi di gestione delle appaltatrici vuoi per riciclare denaro di provenienza delittuosa. Il tutto avvalendosi della consulenza tecnico-professionale dei commercialisti cutresi Minervino Salvatore e Alfredo”.

C’è poi un colloquio tra padre e figlio intercettato proprio sul rischio di vedersi contestare l’aggravante. “Se la Bondeno te la fermano per le fatture c’è l’attenuante (intende dire aggravante ndr) mafiosa e ti bloccano pure le… attenuante mafiosa. .. che girano i soldi della mafia” dice Giuseppe Todaro. Che risponde: “No per le fatture (inc.) per la white list me la fermano … non è che siano assai le fatture?” e l’altro: “Non dovevamo farlo, … non dovevamo tutto sto lavoro nel comune. Questa qua è stata proprio una cacata … la Bondeno dove lavoro io nel Comune, ti do i soldi e, .. tu hai capito che mi tolgono, la firma e mi tolgono dall’albo? … mi pizzicano per ‘sto motivo…”.

Per il gip “nessun dubbio può nutrirsi circa l’attualità dell’impiego del metodo mafioso da parte della consorteria , e più in particolare della sua propaggine attiva nel territorio reggiano-mantovano”. Todaro durante le conversazioni captate dagli investigatori, “rivendica orgogliosamente la propria posizione derivante dal proprio ‘prestigio mafioso’, sia la ricchezza nel frattempo accumulata dal suo nucleo familiare, non mancando di veicolare minacce, esplicitando la fama criminale e la capacità offensiva della cosca, secondo i classici sistemi mafiosi ogniqualvolta fosse necessario riaffermare la sua ‘autorità”. Nell’inchiesta un solo imprenditore ha esplicitato direttamente le accuse nei confronti dell’architetto legato alla cosca ‘Dragone che manovrava per affidare i lavori in cambio di un 3% dell’appalto; un altro è stato inizialmente reticente per poi raccontare le pressioni avute da Todaro, gli altri, invece, traevano un vantaggio, tanto che sono accusati di corruzione.

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