di Margherita Zappatore

È vero: imbrattare opere d’arte e monumenti non risolve il problema climatico. Anzi, rischia di sortire l’effetto opposto, cioè allontanare le masse dalla sacrosanta battaglia per il clima e l’ambiente.

Deturpare opere d’arte e monumenti o bloccare il transito nelle strade è senza dubbio controproducente per la causa climatica, almeno per due ordini di ragioni. La prima, allontana i cittadini dall’adesione alla battaglia ambientale. La seconda, rischia di rendere gli attivisti climatici oggetto di pubblico scherno, facendoli tacciare di essere immaturi o, peggio, dei criminali.

Sembra, tuttavia, questa sia una via obbligata da percorrere per raggiungere, seppur parzialmente, l’obiettivo sperato: parlare e far parlare della crisi climatica. Le forme di manifestazione e di protesta adottate recentemente dai giovani attivisti climatici, infatti, sono pregne di una straordinaria valenza comunicativa tale da richiamare l’attenzione di media, istituzioni e cittadini. Centrano l’obiettivo. “Nel bene o nel male, purché se ne parli”, insomma.

Ma se sgombriamo il campo dalle argomentazioni sulla giustezza delle azioni messe in atto o della causa perseguita, c’è un dato non meno degno di riflessione. In tutto lo scalpore aizzato dai giovani attivisti climatici negli ultimi giorni, infatti, c’è un risvolto positivo della medaglia. Sta nei giovani che credono in una causa, una causa giusta, e che ci rimettono la faccia. Forse anche di più.

I tre ragazzi di Ultima generazione che hanno imbrattato il Senato lunedì scorso sono stati arrestati in flagranza e rimessi in libertà, ma il processo contro di loro proseguirà nei prossimi mesi con l’accusa di danneggiamento aggravato e rischiano fino a 5 anni di carcere. Altri giovani attivisti climatici sono stati condannati nei mesi scorsi a pagare delle multe. Uno di loro, dicono, è stato posto sotto sorveglianza speciale.

Bene. Lo Stato può, anzi deve, condannarli alle pene previste dal nostro ordinamento qualora accerti la sussistenza dei reati loro contestati. Ma, al netto delle valutazioni giuridiche, c’è un aspetto che deve essere rivalutato e apprezzato cioè la caparbietà e il coraggio di questi ragazzi.

Questi ragazzi scardinano, con le loro azioni, lo stereotipo che da anni viene alimentato dei giovani buoni a nulla, fannulloni, disinteressati al mondo che li circonda, incollati a smartphone e social network. Per la prima volta, dopo anni di stasi, ci sono dei giovani che credono in una causa giusta, la combattono seppur con metodi sbagliati ma non scappano, sono pronti a scontare le pene che vengono loro inflitte. Si sacrificano per un’idea, nel 2023, in Italia. Un’idea giusta e condivisa da tutti, un’idea che dovrebbe essere la priorità di ciascuno, in ogni città, regione o Stato. Lo fanno non per se stessi ma per tutti noi.

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