Doveva essere l’anno di Super Mario aureolato della doppia corona del Colle e di premier ombra, con un tecnico suo scudiero a presidiare Palazzo Chigi fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2023.

Invece.

Invece è stato l’anno più schizofrenico della Seconda Repubblica, meglio: del pantano tripolare in cui la politica è sprofondata dal 2013. Del resto è finanche una questione di cabala: nella smorfia napoletana il Ventidue indica il pazzo sic et simpliciter. E il Ventidue passerà dunque alla storia della Repubblica come l’anno del Mattarella bis, delle elezioni anticipate in autunno e di una donna postfascista a capo del governo. Un saliscendi inedito, mai visto. Le montagne russe sono partite da subito, a gennaio, lunedì 24 con l’apertura a Montecitorio del seggio dei grandi elettori per votare il successore di Sergio Mattarella, Dc di sinistra scelto nel 2015 dal Pd renziano.

Da mesi, nei pronostici della vigilia, il super favorito è Super Mario. Appunto. Del probabile trasloco al Quirinale, la moglie del migliore ha persino avvisato, con finto e snobistico fastidio, il barista di fiducia. Una volta in Aula, però, l’aria non è quella dell’incoronazione. Anzi. Sin dal primo scrutinio c’è una minuscola onda parlamentare, incoraggiata dai “dimaiani” del Movimento 5 stelle, che scrive Sergio Mattarella sulla scheda. Il capo dello Stato, è noto, ha detto più volte no a una riconferma, come già Giorgio Napolitano a suo tempo.

Tuttavia le trattative incrociate languono e bruciano candidati su candidati e giorno dopo giorno, meno di una settimana, nessuno ufficialmente mette sul tavolo il nome di Draghi, neanche il suo partito di riferimento: il Pd di Enrico Letta. E così, come accadde nel 2013, alla fine i grandi elettori supplicano il presidente uscente di rimanere. Lui dice di sì e fa intendere che resterà per sette anni, al contrario di Re Giorgio che accettò il bis a tempo. La rielezione è plebiscitaria o quasi: 759 voti. Fratelli d’Italia non lo vota e Carlo Nordio, l’attuale guardasigilli, arriva a 90 voti.

Ma il grande sconfitto è Super Mario, il migliore rigettato laddove il popolo è sovrano. E senza dimenticare l’anomalia di sistema del bis di un capo dello Stato emersa da quando c’è lo schema tripolare formato da M5s, destre e centrosinistra. Un quadro in cui la base dei peones si ribella alle indicazioni dei vertici di partito (clamoroso il caso della presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati abbattuta dai franchi tiratori dello schieramento fasciosovranista e forzaleghista).

Dalla rielezione di Mattarella comincia la valanga che travolgerà il governo Draghi più di sette mesi dopo, nell’ultima decade di luglio, con in mezzo l’invasione russa dell’Ucraina. L’esecutivo tira a campare e stare nella maggioranza comporta un logoramento senza sosta, cui contribuisce il solito test elettorale annuale, stavolta le amministrative. La crisi è inaugurata dalla spaccatura irreversibile dentro i 5s. Da un lato Luigi Di Maio riconfermato ministro degli Esteri nell’esecutivo dei migliori. Dall’altro l’ex premier Giuseppe Conte diventato il capo politico dei pentastellati.

Il 21 giugno Di Maio fa una scissione parlamentare. Esattamente un mese dopo, il 21 luglio, Mattarella scioglie anticipatamente le Camere. Per il capo dello Stato è la prima volta. Così come è la prima volta, nella storia della nostra Repubblica, che si voterà in autunno. La data, però, è a ridosso dell’estate: il 25 settembre. Il casus belli del Draghicidio è la fiducia al dl Aiuti, che contiene la fatidica norma sull’inceneritore di Roma. Il M5s non la vota (in più ci saranno una serie di richieste di Conte a Draghi, non soddisfatte) e le destre si buttano a capofitto nella crisi, dopo un vertice dei tre leader nella nuova villa romana di Silvio Berlusconi, sull’Appia Antica.

L’esito elettorale è scontato epperò riserva qualche sorpresa. Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia stravincono, ma Lega e azzurri galleggiano parecchio indietro. E nel fronte della nuova opposizione, Conte e i Cinque Stelle sconfessano i profeti di sventura e non scompaiono. Il Pd, invece, paga la sua immagine poterista e moderata, nonché il sostegno indefesso al tecnico Draghi. E’ il preludio a un’altra doppia novità repubblicana: la prima volta di una donna a Palazzo Chigi nonché la prima volta di una postfascista alla guida del governo.

L’identità è fin troppo chiara, ma l’esecutivo nato con “l’accompagnamento” di Mattarella ha una matrice ambigua che non rinnega una certa continuità con Draghi. Un altro ossimoro di questo Ventidue pazzo: il neodraghismo di Meloni stride con le tavole di fondazione di Fratelli d’Italia originata nel 2012 da una scissione della destra contro il governo di Mario Monti.

A proposito di Mattarella. E’ l’unico presidente ad aver fatto nascere governi di tutti i colori. In particolare dal 2018 a oggi: gialloverde, giallorosa, tecnico di unità nazionale, infine neroverde con sfumature azzurre.

Che anno matto il Ventidue.

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