Nel bel dibattito sull’utilizzo o meno dello smartphone in classe, ai più deve essere sfuggita una perla. La circolare del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, è arrivata infatti corredata dai risultati di una indagine conoscitiva della VII commissione del Senato e risalente a giugno del 2021 che, a detta del ministero, “ha evidenziato gli effetti dannosi che l’uso senza criterio dei dispositivi elettronici può avere su concentrazione, memoria, spirito critico dei ragazzi”.

Con la circolare poco cambia. Vigono le stesse regole che erano previste finora. Si concede di utilizzare i dispositivi se autorizzati dai docenti (anche perché la non autosufficienza digitale e di rete delle scuole è nota), ma l’indagine allegata fornisce un quadro importante della lettura di questo governo non solo sull’uso dei dispositivi a scuola, ma anche sull’ecosistema digitale, al di là della rassicurazione sulla volontà di non criminalizzare la tecnologia.

“Tutte le ricerche internazionali citate nel corso del ciclo di audizioni – si legge – giungono alla medesima conclusione: il cervello agisce come un muscolo, si sviluppa in base all’uso che se ne fa e l’uso di dispositivi digitali (social e videogiochi), così come la scrittura su tastiera elettronica invece della scrittura a mano, non sollecita il cervello. Il muscolo, dunque, si atrofizza”.

L’indagine cita diversi fenomeni, dai giovani coreani troppo dipendenti agli hikikomori giapponesi. Sostiene che l’uso eccessivo della vista indebolirebbe lo sviluppo degli altri quattro sensi. Percorre anche sentieri di analisi condivisibili – ma non esaustivi nella loro descrizione – e arriva al punto di dire che “mai prima d’ora una rivoluzione tecnologica, quella digitale, aveva scatenato cambiamenti così profondi su una scala così ampia e in così poco tempo” e che “lo smartphone, ormai, non è più uno strumento, ma è diventato un’appendice del corpo”. Infine paragona gli effetti a quelli della cocaina.

Molti sono spunti pure condivisibili da cui partire per discutere approfonditamente del ruolo e della pervasività della tecnologia nelle nostre vite, ma le quattro pagine fornite arrivano a una serie di proposte e a una conclusione che tirano in ballo in maniera spicciola, ed estremamente semplicistica, dibattiti su cui da anni si arrovellano esperti e istituzioni. Eccole di seguito, anche perché parlano da sole.

“Come genitori, e ancor più come legislatori – dicono i senatori – avvertiamo il dovere di segnalare il problema e avanziamo alcune ipotesi:

1. Scoraggiare l’uso di smartphone e videogiochi per minori di quattordici anni;

2. Rendere cogente il divieto di iscrizione ai social per i minori di tredici anni;

3. Prevedere l’obbligo dell’installazione di applicazioni per il controllo parentale e l’inibizione all’accesso a siti per adulti sui cellulari dei minori;

4. Favorire la riconoscibilità di chi frequenta il web;

5. Vietare l’accesso degli smartphone nelle classi;

6. Educare gli studenti ai rischi connessi all’abuso di dispositivi digitali e alla navigazione sul web;

7. Interpretare con equilibrio e spirito critico la tendenza epocale a sopravvalutare i benefici del digitale applicato all’insegnamento;

8. Incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano e l’esercizio della memoria”.

Proposte banali, spesso irrealizzabili e anacronistiche avanzate senza affrontare la questione con il necessario approccio alla complessità. Per evitare, secondo i senatori, la “dittatura perfetta” di Aldous Huxley a questi “giovani schiavi resi drogati e decerebrati: gli studenti italiani. I nostri figli, i nostri nipoti. In una parola, il nostro futuro”.

Chissà se sono d’accordo.

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