Non bastava sedere contemporaneamente su due poltrone incompatibili. Il governatore della Lombardia Attilio Fontana ha promosso alla vicepresidenza della Regione Fabrizio Sala, assessore all’Istruzione e neodeputato di Forza Italia. Due cariche che, già di per sé, per l’articolo 122 della Costituzione non possono stare insieme. Ma prima del rispetto della Carta, in Lombardia viene il mero opportunismo politico. E le dimissioni di Letizia Moratti aprivano una questione: a chi dare la carica di vicepresidente? Qui si voterà tra febbraio e marzo, meglio non creare malumori e litigi all’interno del centrodestra in campagna elettorale. E per quel poco che manca alle elezioni è venuto buono il nome di Sala, che il vicepresidente l’ha già fatto prima che arrivasse Moratti. Ma Sala, stando al regolamento generale del Pirellone, che norma anche i casi di incompatibilità dei membri della giunta, avrà vita breve ai piani alti di Palazzo Lombardia: in base ai tempi dettati dal regolamento dovrebbe decadere da assessore verso metà dicembre. A meno che non trovi qualche stratagemma per resistere fino al momento dello urne, in modo da togliere ogni imbarazzo a Fontana e a non dovergli far mettere di nuovo mano alla scelta del nuovo vicepresidente.

Del resto Sala non sembra per nulla intenzionato ad accelerare i tempi delle sue dimissioni: è stato proclamato deputato il 10 ottobre ed entro dieci giorni, stando al regolamento del consiglio, avrebbe dovuto comunicare alla giunta delle elezioni della Regione, presieduta dalla consigliera Elisabetta Strada, di aver assunto un incarico incompatibile con quello di assessore, ma non l’ha fatto. Così la giunta ha dovuto notificargli una contestazione per incompatibilità. Ora lui ha dieci giorni per difendersi, ma qui c’è poco da difendersi. E così gli toccherà comunicare quale delle due cariche incompatibili vuole conservare, presumibilmente quella da deputato. Dopo di che se non si dimetterà da solo ci dovrà pensare il consiglio regionale. Una procedura piuttosto farraginosa per arrivare fra un mese a quello che era già scontato un mese fa: una volta proclamato deputato, non può più fare l’assessore. Figurarsi essere promosso a vicepresidente regionale. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto al neo vice presidente se non trovi tutto questo inopportuno, come faccia a conciliare due impegni così impegnativi e se ci penserà lui da solo a dimettersi entro metà dicembre. Ma né Sala, né la sua addetta stampa hanno risposto ai messaggi inviati via whatsapp.

Se questo è il caso più paradossale di incompatibilità nel nuovo Parlamento, non è l’unico. Secondo una ricognizione fatta dalla fondazione Openpolis, al 12 ottobre, data di inizio della nuova legislatura, in tutto erano ancora 42 tra neodeputati e neosenatori a non essersi ancora dimessi dalle precedenti cariche. Non solo membri di giunte regionali, ma anche consiglieri regionali e un sindaco. All’8 di novembre, data in cui è stata pubblicata la ricognizione, erano arrivate solo 20 dimissioni su 42 e dunque risultavano ancora 22 neoparlamentari con incarichi incompatibili. Tra di loro Nicola Zingaretti del Pd, che però si è dimesso da governatore del Lazio tre giorni dopo. Il partito che conta più incompatibilità è anche quello con più eletti, cioè Fratelli d’Italia, con 6 deputati e 2 senatori che all’8 novembre non si erano ancora dimessi dalle precedenti cariche. Seguono il Pd, che escludendo Zingaretti, aveva ancora quattro parlamentari, così come Lega e Forza Italia. Infine l’Alleanza Verdi e Sinistra con uno.

La questione, che a dire il vero si ripete a tutte le tornate elettorali, ha tra le cause il fatto che la decadenza dalle vecchie cariche, quando se ne assume una nuova incompatibile, non è automatica. Ogni Regione ha i suoi regolamenti. E se non ci pensano prima le regioni, ci devono pensare Camera e Senato, ognuno con la sua giunta delle elezioni e con procedure che durano mesi. A Montecitorio per esempio il neoeletto ha un mese per comunicare le sue cariche, dopo di che un comitato ad hoc della giunta, dove siedono anche i suoi compagni di partito, ha sei mesi per contestargli l’eventuale incompatibilità, lui ha 15 giorni per controdedurre qualcosa, poi il comitato avanza la sua proposta alla giunta, la giunta vota l’incompatibilità, il neoeletto che non è più “neo” ha 30 giorni per decidere quale tra le cariche incompatibili tenere, se non decide si arriva al voto in aula e così passa altro tempo. E chi è stato eletto in Parlamento, nonostante l’incompatibilità sia evidente a tutti sin da subito, può approfittarsi delle lungaggini procedurali e tenere per mesi il sedere su tutte e due le poltrone.

Va detto che qualcuno che si è dimesso dalle precedenti cariche prima dell’inizio della legislatura c’è: in tutto 18 tra deputati e senatori. Ma – secondo Openpolis – in diversi casi si è trattato di un passaggio praticamente automatico. In sei, tra cui l’ex governatore Nello Musumeci, facevano parte della giunta o del consiglio della Sicilia, regione in cui si è votato lo stesso giorno delle elezioni politiche. Altri nove erano parlamentari europei e a Strasburgo, a differenza che da noi, si decade automaticamente appena si ha un altro incarico incompatibile. Alla fine, gli unici tre a essersi dimessi spontaneamente prima di varcare la soglia di Camera o Senato sono stati Marco Lisei di Fratelli d’Italia, ex consigliere regionale dell’Emilia-Romagna, Giovanni Berrino di Fratelli d’Italia e Ilaria Cavo di Noi moderati, entrambi ex assessori della Liguria.

@gigi_gno

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