Un voto per salvare il cuore della democrazia americana. Un voto per salvare il portafoglio degli americani e garantire la loro sicurezza, mentre spunta la candidatura di Donald Trump alle presidenziali del 2024. Si potrebbe sintetizzare così l’approccio, diversissimo, con cui democratici e repubblicani arrivano alle elezioni di midterm. Il partito di Joe Biden ha cercato di enfatizzare i rischi per i diritti, e per la tenuta della democrazia, che un’eventuale vittoria repubblicana comporterebbe. I repubblicani hanno puntato il dito contro la gestione economica e sociale di Biden. Hanno attaccato sull’inflazione, sui prezzi, sul dilagare della criminalità. Alla fine, almeno a giudicare dai sondaggi, il messaggio repubblicano è risultato più convincente. A queste elezioni di midterm, il G.O.P. dovrebbe riconquistare la Camera. Il Senato appare conteso.

Tutti i 435 seggi della Camera, e 35 dei 100 del Senato, sono in palio nel midterm 2022. Ma questo martedì si vota anche per 36 governatori, per una serie di cariche – da segretario di stato ad Attorney General a segretario al tesoro –, per il rinnovo delle assemblee statali e per alcuni referendum, in particolare sull’aborto. L’enorme e convulsa macchina delle elezioni americane si è rimessa quindi in moto per l’ennesima volta. Come sempre, il rumore è assordante. Scandali sessuali, tentati omicidi, sentenze choc della Corte Suprema, mobilitazioni di massa per le strade, una guerra lontana che scatena la minaccia nucleare, moniti sulla morte della democrazia, un presidente in declino e un altro che fa partire la nuova crociata: c’è stato tutto questo nella campagna del midterm 2022, che come un grande spettacolo popolare si è snodata tra colpi di scena, speranze, cadute, presunti vincitori e sicuri sconfitti. Alla fine, quanto meno, si è tenuto desto l’interesse. Oltre 40 milioni di americani hanno già approfittato del voto anticipato. In milioni andranno alle urne martedì. Si prevede che questo midterm sarà quello con più affluenza nella storia degli Stati Uniti.

Ecco un piccolo riassunto di quello che è successo in queste settimane e di ciò che, presumibilmente, potrà succedere.

TEMI E DINAMICHE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE – Le elezioni di midterm sono tradizionalmente un referendum sul presidente in carica. Se la si prende da quest’angolo visuale, restano pochi dubbi. Il voto si rivelerà un disastro per i democratici. Biden è uno dei presidenti meno amati della recente storia americana. Il suo tasso di popolarità si aggira intorno al 42 per cento. Barack Obama ha spesso ricordato come da presidente, al midterm 2010, subì “una botta”. In quel momento, il suo gradimento era intorno al 43 per cento. Se i numeri contano, dovremmo aspettarci una nuova serata elettorale da incubo per i democratici. In realtà, le cose appaiono oggi più sfumate, le variabili sono molte, l’esito non appare così scontato. Sicuramente i democratici – lo hanno riconosciuto molti tra i membri del partito – hanno avuto seri problemi di strategia.

L’errore risale a fine giugno, quando la Corte Suprema con la “Dobbs v. Jackson” cancella il diritto all’aborto su base federale. La sentenza solleva un’onda di indignazione come poche altre nella storia americana. Cinquant’anni di diritti e libertà riproduttiva delle donne vengono spazzati via. Si diffonde il timore che la Corte conservatrice e i repubblicani puntino ad altro: alla contraccezione, ai matrimoni omosessuali. A quel punto i democratici trovano la quadra: alla narrazione repubblicana, che punta sull’incapacità di Biden di arginare inflazione e prezzi, oppongono quella secondo cui i repubblicani mettono in pericolo i diritti delle donne e le libertà di tutti. Per qualche settimana la cosa funziona. I candidati democratici risalgono nei sondaggi, il partito è sospinto dal vento dell’indignazione. Poi, la burrasca si calma. Lentamente, i bread-and-butter issues, i problemi dei prezzi di cosa mettere in tavola, della benzina, dei costi di scuola e servizi, riprendono il sopravvento.

Un sondaggio CNN degli ultimi giorni di ottobre mostra che l’economia è un tema importante per nove elettori su dieci. Per il 51 per cento, è il più importante. L’aborto è la questione di maggior rilievo per solo il 15 per cento dei probabili elettori. Un altro sondaggio, CBS News/YouGov, sempre di fine ottobre, ricorda che il tema criminalità è molto rilevante per il 65 per cento di chi andrà alle urne. In questi numeri c’è la fotografia dei bisogni del Paese e il preannuncio delle probabili difficoltà democratiche. Di economia, i democratici hanno preferito non parlare, nonostante i trasferimenti di denaro pubblico decisi dall’amministrazione Biden per sostenere l’economia Usa (mai così generosi dai tempi del New Deal; 3000 miliardi di dollari soltanto con l’“American Rescue Plan” del marzo 2021). Non se ne è parlato perché si temeva di esporsi alle critiche repubblicane per aver stimolato in eccesso l’economia, favorendo la crescita dell’inflazione. Ma in questo modo, i democratici non hanno rivendicato niente di quanto fatto: l’allargamento del Medicaid, i sussidi alle famiglie, l’abbassamento dei prezzi dei medicinali, la cancellazione di parte del debito studentesco. Nonostante allarmi e avvertimenti (tra i più frequenti, quelli di Bernie Sanders), si è deciso di concentrarsi sulla questione dell’aborto.

Come spesso succede però, una sinistra che non pone i bisogni sociali in cima alla sua agenda è una sinistra che perde. Se ne sono accorti gli stessi democratici, che nelle ultime settimane hanno cominciato a rivendicare le cose fatte. Biden ha parlato spesso di Medicaid e debito studentesco, negli spot elettorali dei candidati sono apparsi con più frequenza accenni a economia e lavoro. Anche il tema della minaccia alla libertà portata dai repubblicani è stato declinato in modo diverso. Non si tratta più soltanto dell’attacco ai diritti delle donne. Si tratta del “caos americano”, come l’ha definito Biden, del rischio di un crollo delle istituzioni democratiche provocato dall’ostinato rifiuto repubblicano di riconoscere il risultato delle presidenziali 2020. Si tratta della “democrazia a rischio”, come ha detto Obama, se si faranno trionfare i “negazionisti del voto”. Bisogna ora capire quanto questo cambio di passo possa funzionare.

Perché, nel frattempo, i repubblicani hanno cominciato a battere furiosamente su un’altra grande questione: quella della criminalità, della sicurezza messa a rischio dalle politiche troppo tolleranti degli amministratori democratici. È un tema sentito soprattutto nei grandi centri urbani, dove negli ultimi anni si è assistito a un aumento consistente della microcriminalità. Furti, borseggi, aggressioni sulle metropolitane. La presenza per strada di milioni di senza tetto – un lascito dei mesi del Covid – ha alimentato disagi e paure. Poco importa che alcuni indicatori mostrino un calo dei reati più gravi (a New York, per esempio, gli omicidi sono quest’anno in discesa). La percezione resta quella del pericolo e su questa percezione i repubblicani agiscono in modo potente. L’operazione sta avendo successo. Aree del Paese dove non si faceva campagna elettorale, tanto la vittoria democratica era scontata, diventano ora contendibili.

Il caso più clamoroso è quello di New York, dove la governatrice Kathy Hochul rischia un’imbarazzante sconfitta. Se il quadro generale sembra dunque favorire i repubblicani, non tutto appare definito. Elezioni come queste hanno una forte componente locale e in diversi casi i repubblicani hanno sbagliato i candidati. I casi di Doug Mastriano in Pennsylvania, inseguito dall’accusa di antisemitismo, e di Herschel Walker in Georgia, un anti-abortista che ha fatto abortire la fidanzata, sono esemplari. Bisogna poi capire quanto, alla fine, la questione della difesa del diritto all’aborto conterà davvero. Quanto essa sia rimasta nel profondo di molte elettrici, pronta a riemergere al momento della decisione finale.

Un’ultima annotazione. Diritti sociali e diritti civili, migliori condizioni di vita e libertà personali, non dovrebbero mai essere in alternativa, soprattutto nell’agenda di un partito progressista. Lo sono state a queste elezioni, e in ciò sta la ragione delle difficoltà democratiche e uno dei lasciti più preoccupanti di questa campagna.

IL CANDIDATO 2024 – E sulla campagna elettorale di midterm, si è abbattuta la notizia della possibile candidatura di Donald Trump alle presidenziali 2024. L’annuncio potrebbe arrivare dopo le elezioni dell’8 novembre ma prima di Thanksgiving, quindi prima del 24 novembre. La cosa solleva problemi di diversa natura. Anzitutto, cosa potrà succedere nel partito repubblicano. Trump ha già chiarito che si aspetta di essere il solo candidato repubblicano del 2024. Significativo, da questo punto di vista, è il suo rifiuto di partecipare al congresso della Republican Jewish Coalition, a Las Vegas, il 18 novembre. Ci saranno tutti i presunti candidati repubblicani, ma non Trump appunto, che mostra di non volersi mischiare con gli eventuali concorrenti e si aspetta anzi di essere incoronato dal G.O.P. senza ricorso alle primarie. Difficile però che gli altri, in particolare proprio il governatore della Florida Ron DeSantis, accettino il diktat.

A ciò si aggiungono le tante questioni aperte con la giustizia. Non è un mistero che la mossa di Trump potrebbe essere giustificata proprio da ragioni giudiziarie. Annunciare la propria candidatura renderebbe più difficile una sua incriminazione. Indagare sul candidato repubblicano alla presidenza avrebbe infatti il sapore della persecuzione di un nemico politico. Il cerino, a questo punto, passa nelle mani dell’attorney general Merrick Garland. Alcuni fanno notare che Garland potrebbe accelerare l’inchiesta sui documenti top secret trafugati alla Casa Bianca e portati a Mar-a-Lago, e arrivare a un’incriminazione di Trump prima dell’annuncio. Anche in questo caso, comunque, Trump potrebbe decidere di andare avanti e scendere in campo nel 2024.

A parte le questioni presidenzial-giudiziarie, va ricordata una cosa che riguarda invece proprio il midterm. Sono almeno 370 i candidati repubblicani a queste elezioni (dati del “New York Times”) che hanno in qualche modo abbracciato la tesi di Trump sui brogli elettorali. Ciò significa che il 70 per cento del futuro possibile personale repubblicano al Congresso ha creduto e diffuso teorie cospiratorie che nessuna conferma hanno nei fatti; e che, di conseguenza, non ritiene Joe Biden il presidente legittimo. Questo mostra come l’attacco agli istituti più delicati della democrazia, condotto da Trump, sia diventato moneta corrente per i repubblicani. Difficile fare il proprio ingresso nel partito se non ci si piega alla narrazione trumpiana. Difficile ottenere una qualche carica o candidatura se non ci si mostra parte del suo progetto. Trump può decidere se annunciare o meno la sua candidatura alle presidenziali 2024. Ma un risultato l’ha già raggiunto: fare del partito repubblicano il partito di Donald Trump. Le elezioni di midterm lo certificano e questo è già, di per sé, un fatto storico.

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