Pennsylvania e Delaware la settimana scorsa. Nevada e Iowa questa settimana, anche se solo in collegamento virtuale. E poi New York e ancora Pennsylvania (lo Stato che ha visitato di più). Joe Biden sfida i sondaggi e i presagi non buoni e si lancia in un frenetico tour finale di comizi e raccolte fondi per il midterm. “Se riusciamo a far andare la gente a votare, vinciamo”, ha detto il presidente al quartier generale del partito democratico di Washington lunedì scorso. Biden ha viaggiato nelle ultime settimane per 31 distretti elettorali e si dice convinto che “alla fine, nei giorni precedenti il voto, il pendolo tornerà a oscillare a nostro favore”. In realtà, almeno per ora, il pendolo staziona stabilmente nel campo repubblicano e il partito del presidente sembra destinato, l’8 novembre, a una notte elettorale particolarmente difficile.

Affluenza record – C’è un dato interessante che emerge in queste ore. Il midterm 2022 sta sollevando un interesse senza precedenti. Secondo lo U.S. Election Project, almeno 7,7 milioni di americani hanno già votato, per posta o nei siti elettorali già approntati. Rispetto al 2018, l’affluenza al voto è impressionante. In Georgia, rispetto a quattro anni fa, ha già votato un 70 per cento di elettori in più. In Florida, l’aumento è del 50 per cento. In North Carolina, le richieste per poter votare “in assenza” sono superiori del 114 per cento rispetto al 2018. Sembra quindi che l’auspicio di Biden – portare più gente alle urne perché da questo dipende la vittoria dei democratici – sia rispettato. Il problema è che, rispetto al 2020, questa volta non sono soprattutto i democratici a beneficiare del voto anticipato. Diverse analisi mostrano che repubblicani e indipendenti stanno votando a un ritmo di molto superiore al 2018.

Di qui l’angoscia che si sta facendo strada tra molti militanti e politici democratici. Il timore è quello di avere clamorosamente sbagliato temi e tempi di questa campagna elettorale. Per mesi, i democratici hanno evitato di parlare di economia. E questo, nonostante i quasi duemila miliardi di dollari in aiuti che questa amministrazione ha riversato nell’economia Usa nei mesi più duri della pandemia. Il calcolo dei democratici era chiaro. Si voleva evitare di dare ai repubblicani l’occasione per rilanciare un’accusa più volte ascoltata: quella di aver condotto a un rapido aumento dell’inflazione e dunque dei prezzi di cibo, affitti, generi di prima necessità, stimolando in modo eccessivo l’economia. Così i democratici hanno però perso l’opportunità di ricordare agli elettori due pilastri essenziali di quella misura: i 1400 dollari in assegni diretti distribuiti alle famiglie di basso e medio reddito; e i crediti di imposta concessi alle famiglie più povere con figli. ”È stata un’opportunità mancata e un errore strategico”, ha spiegato Chris Hughes, tra i fondatori di Facebook e oggi membro dell’“Institute on Race, Power, and Political Economy” della New School.

“Soldi e famiglia”: il focus dei repubblicani – La guerra in Ucraina, il rapido aumento dei prezzi di benzina ed energia, l’allarme criminalità lanciato in diversi Stati (soprattutto Michigan, Pennsylvania e Ohio) hanno fatto il resto. I repubblicani si sono trovati serviti su un piatto d’argento un’elezione che già la scorsa primavera pareva ampiamente vinta. “Basta che i repubblicani rimangano concentrati su due cose – i miei soldi, la mia famiglia – e vinceranno nel 2022. Forse vinceranno anche nel 2024”, ha spiegato Ford O’Connell, uno stratega elettorale repubblicano. Di contro, i democratici sono rimasti senza una strategia chiara, con una campagna tutta al negativo, volta a sottolineare i rischi che i repubblicani egemonizzati da Donald Trump rappresenterebbero per la democrazia americana. Del resto, cancellate dal discorso democratico le misure di sostegno economico votate durante la pandemia, c’era poco che questa amministrazione e questo Congresso a maggioranza democratica potessero esibire. Qualcosa in tema di controllo delle armi. Una modesta presa di distanza dalle politiche sull’immigrazione di Trump. Poco altro. Soprattutto, nulla che potesse suscitare l’entusiasmo e il ritorno massiccio alle urne del popolo democratico.

L’aborto? Preoccupa solo il 5% degli elettori – In verità, c’è stato un momento in cui è sembrato che i democratici trovassero finalmente una chiave attorno a cui costruire la strategia per il medio termine. È stato nelle settimane immediatamente successive alla “Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization”, la sentenza della Corte Suprema che a fine giugno cancellava il diritto all’aborto a livello federale negli Stati Uniti. A quel punto, l’allarme diritti lanciato dai progressisti poteva finalmente concretizzarsi in qualcosa di visibile. I repubblicani diventavano il partito che, dopo decenni di attacchi alla Roe v. Wade, era riuscito a limitare i diritti riproduttivi delle donne. Una sorte simile, sul lungo periodo, poteva abbattersi sulla comunità LGBTQ e sulle minoranze etniche. Per evitare l’instaurarsi di “un nuovo Medioevo”, era il ragionamento dei democratici, bisognava andare a votare a novembre. Lo sdegno e la preoccupazione di milioni di donne americane, costrette a lasciare le loro case negli Stati repubblicani e a fare centinaia di miglia per ottenere un aborto, dava alla questione un senso di tragica urgenza e rilanciava le speranze di una vittoria democratica.

“Abbiamo raggiunto il picco troppo presto. Le elezioni si sarebbero dovute tenere ad agosto”, dice ora Matt Bennett, del gruppo di centro-sinistra “Third Way”. Sì, perché dopo l’esplosione iniziale, la questione aborto è andata lentamente spegnendosi, lasciando di nuovo il posto alle questioni legate “ai miei soldi, alla mia famiglia”. Un sondaggio New York Times/Siena pubblicato il 17 ottobre mostra che l’aborto è la preoccupazione principale per un misero 5 per cento dell’elettorato. Il 44 per cento degli intervistati sceglie invece l’economia come tema più importante di queste elezioni. La cosa diventa particolarmente preoccupante se si guarda a un segmento elettorale preciso: quello delle cosiddette “donne indipendenti”, concentrate soprattutto nei sobborghi urbani, un gruppo elettorale fondamentale per l’elezione di Joe Biden nel 2020 e che resta fondamentale se si vuole controllare il Congresso. I repubblicani hanno oggi un vantaggio di 18 punti sui democratici tra le “donne indipendenti”, quelle che non sono registrate in nessuno dei due maggiori partiti. Il segnale che, anche in buona parte dell’elettorato femminile, la questione aborto si è rapidamente dissolta a favore dei temi dell’economia e del costo della vita.

La campagna di Sanders per i lavoratori – Appare a questo punto profetico l’appello di Bernie Sanders ai democratici Usa. “I repubblicani vogliono tagliare il Social Security, il Medicare, il Medicaid, nel momento in cui milioni di americani non sanno come pagare le loro bollette… quello che noi democratici dobbiamo fare è contrastare l’agenda pro-corporation dei repubblicani con una posizione forte a favore dei lavoratori Usa”, dice da settimane il senatore del Vermont, preoccupato che l’insistenza quasi esclusiva del suo partito sulla questione dell’aborto finisca per allontanare settori importanti di voto, soprattutto i più giovani e i gruppi economicamente più deboli. L’appello di Sanders a una strategia focalizzata sui temi del lavoro e dei prezzi è andato però largamente deluso. Privati dello slancio rappresentato dall’allarme aborto, i democratici sono apparsi deboli, spesso sulla difensiva, quasi rassegnati a subire la sorte che tradizionalmente tocca nelle elezioni di medio termine al partito che controlla la Casa Bianca: quella di perdere il controllo del Congresso. Non che tutto ovviamente appaia perduto. Se la Camera sembra destinata a finire sotto il controllo repubblicano, i democratici mostrano buone capacità di mantenere il controllo di seggi senatoriali “difficili”: quelli di Mark Kelly in Arizona, di Maggie Hassan in New Hampshire, di Raphael Warnock in Georgia. L’obiettivo è dunque mantenere una parità, 50 contro 50, nella distribuzione dei seggi al Senato, ciò che permetterebbe poi di far valere il voto determinante di Kamala Harris, vice presidente Usa e presidente del Senato.

Il bisogno di un cambio di rotta – È vero comunque che nelle ultime settimane una parte del mondo democratico è parso più consapevole dei problemi che hanno sin qui funestato la campagna elettorale del partito. Quattro strateghi democratici di antica esperienza hanno pubblicato un articolo su “The American Prospect”, una rivista di orientamento liberal, implorando i democratici di scegliere un messaggio elettorale che risponda alle preoccupazioni degli americani e che riconosca “la sofferenza provocata dall’aumento dei prezzi”. Gli elettori “vogliono che i democratici capiscano davvero cosa sta succedendo nelle loro vite”, scrivono i quattro. “Vogliono un programma. Vogliono vedere la differenza tra democratici e repubblicani”. Una delle autrici del pezzo, Celinda Lake, che da anni produce sondaggi per il partito, ha spiegato al “New York Times” di “essere estremamente preoccupata” ma che “c’è ancora tempo, due settimane, per cambiare rotta”.

L’appello coincide con i primi segnali di risveglio da parte degli stessi candidati democratici al midterm. In uno spot elettorale lanciato lunedì dalla democratica moderata Angie Craig, in corsa in un distretto non facile del Minnesota, si sottolinea proprio quanto fatto da questa amministrazione in materia sociale: i crediti di imposta per le famiglie più povere con i figli a carico, l’allargamento del Medicare, una legge sulle infrastrutture da 1000 miliardi di dollari, il più grande investimento della storia per creare posti di lavoro nel settore dell’energia pulita. Bernie Sanders, in uno sforzo disperato per enfatizzare proprio il messaggio sociale, sta girando in lungo e in largo gli Stati Uniti: Oregon, California, Texas, Florida, Wisconsin, Michigan, Pennsylvania. E sempre più, nei comizi dei democratici, si torna a parlare dei tagli alle tasse per i più ricchi che i repubblicani vorrebbero introdurre nel caso riconquistassero il Congresso.

La domanda che molti si fanno, a questo punto, è però soprattutto una: è troppo tardi? Con l’8 novembre alle porte, con il voto in corso in larga parte del Paese, le speranze di raddrizzare una campagna elettorale sbagliata non sono ormai vane? È quello che molti tra i democratici temono, che nessuno dice pubblicamente ma che rende così sottotono e preoccupata la campagna di molti candidati dem al Congresso. Con una eccezione molto significativa: Michael Moore. Il regista invia ogni giorno una mail agli iscritti del suo “Mike’s Midterm Tsunami of Truth”. La sua previsione è in totale controtendenza. Moore pensa che saranno i democratici a vincere il midterm, che queste saranno le elezioni di “Roe-vember”, in cui l’attacco all’aborto e la minaccia repubblicana ai diritti finirà per prevalere nella scelta di milioni di americani. “Non credete ai sondaggi”, ha scritto Moore. “Non fatevi prendere da un sentimento di rinuncia”. “Sono maledettamente serio”, spiega Moore, che basa le sue previsioni su quanto avvenuto di recente in una serie di appuntamenti elettorali anticipati in Kansas, Alaska e Idaho. I democratici, dati per spacciati, hanno prevalso. Così, secondo Moore, dovrebbe succedere anche il prossimo 8 novembre. Lui è stato uno dei pochi a prevedere la vittoria di Donald Trump nel 2016. Pareva impossibile, è successo. In molti, nel mondo progressista, sperano che Moore faccia centro anche questa volta.

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