L’ultimo lo hanno ammazzato giovedì sera nel giorno del compleanno, davanti agli occhi della moglie, mentre stava per brindare ai suoi 50 anni. Il killer gli ha scaricato addosso un intero caricatore di una mitraglietta skorpion davanti a un chiosco in viale Giotto. Agostino Corvino è stato colpito all’addome da diversi colpi e per lui non c’è stato nulla da fare. Era appena sceso dalla macchina quando è stato affiancato da chi doveva portare a termine la sua missione di morte. È l’ultimo segnale di una mafia, quella foggiana, nuovamente in fibrillazione. Una guerra, l’ennesima in città, ma questa volta impropria perché, sostengono gli inquirenti, a generare la lunga scia di violenza che ha lasciato sull’asfalto un morto a fine dicembre 2021 e altri quattro da marzo ad oggi più che la fame di potere sono le difficoltà in cui le batterie della Società sono incappate sotto la pressione dello Stato, intrecciatesi tra l’altro con alcune scarcerazioni eccellenti negli scorsi mesi.

Il procuratore di Bari, Roberto Rossi, che con la sua Direzione distrettuale antimafia coordina le inchieste sui clan di Foggia, ipotizza che “la mafia sta sentendo i colpi inferti dalla Squadra-stato”. E ricorda: “Sono stati messi a segno moltissimi risultati tra indagini e processi, aumentano i collaboratori di giustizia e tutto questo scuote la loro compattezza. Le difficoltà spingono a risolvere i problemi con la violenza ma è un evidente segno di debolezza. Quindi è indubbio che dobbiamo continuare a percorrere la strada intrapresa. E irrobustirla dando più forze alla Dda, alla procura di Foggia e alla squadra investigativa”, spiega a Ilfattoquotidiano.it all’indomani dell’omicidio di Corvino. Il 50enne, pregiudicato, era il nipote di Raffaele Tolonese, boss della famiglia federata alla consorteria Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese, schierata in favore dei Moretti-Pellegrino-Lanza, la batteria in questo momento più temuta a Foggia, come ha fotografato la Direzione investigativa antimafia nella sua ultima relazione semestrale. L’omicidio arriva a meno di un mese dalla morte del boss Federico Trisciuoglio, deceduto mentre si trovava ristretto in regime di 41bis. Una figura storica e apicale della Società, in particolare della consorteria che porta il suo nome e che negli ultimi anni, per gli investigatori, ha stretto “sinergie con elementi mafiosi di Manfredonia” e con “esponenti della criminalità di Orta Nova”.

L’agguato di giovedì sera arriva dopo l’omicidio di Alessandro Scopece, 37enne con precedenti per droga ucciso da due killer lo scorso 11 luglio. Prima, il 25 marzo, era toccato a Roberto Russo, cognato di Corvino. I sicari lo hanno affiancato in zona San Ciro mentre era alla guida della sua Ford e non gli hanno lasciato scampo. Tre giorni dopo, il 28 marzo, è stato scarcerato – come sottolinea la Dia – un elemento apicale del clan Sinesi-Francavilla, i più “sfavoriti” nei recenti equilibri di potere. Un fattore, insieme alla detenzione domiciliare del fratello, che “non si esclude”, ad avviso degli investigatori, possa “rinvigorire le ambizioni” del clan e contribuire in maniera importante a “ridisegnare i tratti criminali del panorama mafioso” della provincia. Il 18 maggio a cadere sotto i colpi dei sicari era stato Alessandro Scrocco, trucidato mentre rientrava in carcere. Stava scontando la sua pena per aver ucciso un 29enne nel 2010 e si trovava in regime di semilibertà. Coperto dal buio della sera, il gruppo di fuoco era entrato in azione all’ingresso della casa circondariale. Il luogo e le modalità descrivono la sfrontatezza: l’attesa, quattro colpi di fucile, il corpo di Scrocco esanime e la fuga. Tutto immortalato dalle telecamere di sicurezza.

Il 2021 si era chiuso alla stessa maniera, nel sangue, con l’omicidio di Pietro Russo, 32enne con precedenti per furto raggiunto dai killer davanti alla sua abitazione poco prima di cena. Sette colpi esplosi, nessuna traccia di chi ha aperto il fuoco. Un filo tiene insieme tutti i morti rimasti sull’asfalto? Un interrogativo che sono chiamati a sciogliere gli inquirenti, ormai da anni impegnati in una lotta sempre più incisiva contro i clan. Di certo, come il procuratore Rossi, anche la Dia è convinta che il nervosismo negli ambienti mafiosi foggiani sia da ricondurre anche a un “impellente bisogno” di “rafforzare la propria immagine sul territorio” compromessa dalle “pesanti perdite subite dall’azione di contrasto”, tra condanne – in settimana è attesa la sentenza di appello del maxi-processo Decima Azione – e affiliati che hanno rotto il muro di omertà dopo decenni in cui nessuno collaborava con la giustizia. Più che una guerra, il piombo di questi mesi sembra il rantolo di una mafia all’angolo. Debole, eppure per questo ancora più spietata.

Twitter: @cicciocasula e @andtundo

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