Indietro tutta. Sulle province il governo di Giorgia Meloni intende tornare al passato: cioè alle elezioni dirette di presidenti e consigli provinciali. Lo annuncia Roberto Calderoli, neo ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie, alla fine di un faccia a faccia con i vertici dell’Unione province italiane. “Oggi ho avuto un incontro positivo con l’Upi, un incontro in cui abbiamo riscontrato una totale convergenza sulla restituzione dell’identità alle Province, che si può realizzare soltanto attraverso un’elezione diretta del presidente della Provincia e del Consiglio provinciale. È idea condivisa sia dal ministro che dall’Upi che alla luce di questo obiettivo si debba procedere ad un aggiornamento delle funzioni delle Province stesse e dei relativi finanziamenti”, ha detto il leghista, che vorrebbe usare il supporto dell’Upi per quello che è il vero grande obiettivo dell’esecutivo: l’autonomia regionale. “Ho poi riscontrato un atteggiamento positivo da parte delle Province sull’autonomia differenziata, rispettosa dell’unitarietà giuridica ed economica del Paese, con la previsione che le ulteriori competenze, fra cui quelle amministrative acquisite attraverso l’autonomia differenziata, possano a loro volta essere devolute a Comuni, Città Metropolitane e Province”, ha proseguito Calderoli.

L’abolizione fallita – Adesso bisognerà capire con che tipo di norma il governo intende far tornare il funzionamento delle province ai meccanismi del passato. Di sicuro c’è solo che a otto anni dalla riforma di Graziano Delrio si torna indietro. Era il 2014 quando il governo di Matteo Renzi aveva compiuto il primo passo per svuotare di competenze, personale e finanziamenti gli enti intermedi, divenuti simbolo dello spreco. La riforma Delrio, però, era solo il primo passo: per completare l’eliminazione delle province doveva passare la riforma costituzionale Boschi-Renzi, affossata dal referendum del 2016. L’ex sindaco di Firenze ci aveva puntato fortissimo, tanto da non preoccuparsi di cosa sarebbe accaduto in caso di bocciatura. Che poi è notoriamente arrivata. Così lo smantellamento delle province è rimasto a metà: gli enti non erano più guidati da giunte e presidente eletti dai cittadini, eppure gestivano ancora servizi pubblici essenziali, come scuole e viabilità, ma con minori stanziamenti e personale. Dopo anni di commissariamento, infine, sarebbero arrivate anche le elezioni di secondo livello: consiglieri comunali e sindaci votavano per eleggere i presidenti delle province in turni elettorali non certo indimenticabili.

Da Milano a Palermo, regioni in ordine sparso – Il vero flop, però, era quello che riguardava il riordino delle funzioni, iniziato nel 2015, portato avanti in maniera disomogenea da Milano a Reggio Calabria. Prima della legge Delrio le province italiane erano 107, elette direttamente dai cittadini, e avevano circa 43mila dipendenti in dotazione. La riforma ha toccato le 86 delle Regioni a statuto ordinario, che sono diventate 76 Province e dieci Città metropolitane. Nelle Regioni a statuto speciale la riforma è stata invece disomogenea: le 9 Province siciliane si sono trasformate in 6 Liberi Consorzi e 3 Città metropolitane, anche se nei giorni scorsi il neo governatore Renato Schifani ha anticipato l’intenzione di voler restaurare i vecchi enti intermedi. In Sardegna, invece, le 8 province sono rimaste in 4, con una città metropolitana. In Friuli Venezia Giulia, invece, si è passati da 4 Province a 18 Unità territoriali. Gli effetti dirompenti, come aveva raccontato ilfattoquotidiano.it, si sono avuti sulle funzioni. La riforma stabiliva che restano in capo alle Province la gestione dell’edilizia scolastica delle medie superiori e la costruzioni e gestione delle strade provinciali. Nel primo caso, si tratta di oltre 5100 edifici scolastici nei quali studiano più di 2,5 milioni di ragazzi. Per quanto riguarda la viabilità, invece, si parla di 130mila chilometri di strade, pari all’80% della rete viaria nazionale sulla quale insistono 30mila ponti, viadotti e gallerie. Come evidenziato da un monitoraggio ordinato dal ministero delle Infrastrutture dopo il crollo del ponte Morandi, molti sono in condizioni critiche. Tutti problemi mai affrontati: e adesso si torna al passato.

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