Un’ordinanza storica, che è da un lato una rivincita per chi ha perso tutto, dall’altro un precedente importantissimo per il futuro. Il Tribunale di Genova (presidente Paolo Lepri, giudici a latere Ferdinando Baldini e Fulvio Polidori) ha ammesso il comitato dei parenti delle vittime del ponte Morandi tra le parti civili del processo sul crollo, che il 14 agosto del 2018 fece 43 vittime. La decisione – che può apparire scontata – è di fatto rivoluzionaria, perché finora i giudici di tutta Italia hanno sempre escluso dalle parti civili i soggetti costituiti dopo il reato, compresi quelli che riuniscono i familiari di chi ha perso la vita (per cui, evidentemente, il requisito è impossibile da rispettare): è successo nei processi sulle stragi di Bologna, di Viareggio, di Avellino, di Ustica. Un orientamento che ha una ragione precisa – evitare il fiorire di sigle farlocche pronte a raccogliere i benefici di grandi disastri – ma anche l’effetto paradossale di tenere fuori dai processi proprio le comunità colpite dal reato nel modo più intenso. Per questo Raffaele Caruso, l’avvocato che assiste il comitato, ha tentato fin dall’inizio un’impresa che sembrava disperata: convincere i giudici genovesi a superarlo, perché “assurdo e ingiusto” in casi come quello del Morandi. Un’istanza che era stata respinta dal giudice dell’udienza preliminare, ma che il collegio di primo grado ha deciso, con un provvedimento motivato nei dettagli, di accogliere. “Sono felice fino alle lacrime“, dice il legale al fattoquotidiano.it. I familiari presenti in aula hanno accolto il verdetto con commozione e abbracci. Ed Egle Possetti, la portavoce del comitato, non nasconde l’entusiasmo: “Con questa decisione, finalmente, situazioni simili alla nostra potranno avere un riguardo diverso“.

Accogliendo (e in parte superando) le argomentazioni di Caruso, il Tribunale riconosce l'”evidente peculiarità” della posizione del Comitato rispetto alle centinaia di altri soggetti che si sono costituiti parte civile, la maggior parte dei quali non ammessi. E nota che “per tipi di danno quale quello derivante dal collasso di un ponte (…) la sofferenza morale prospettata riguarda, più che una sola persona, un’intera collettività fruitrice dell’infrastruttura, e quel pregiudizio arriva a precedere l’evento e a essere già riferibile ai singoli prima del compiersi del crollo, risultando connesso alla grave incuria nella gestione di servizi essenziali, tra cui strade e autostrade”. È quel danno che esisteva già prima del disastro, quindi, che “ben può meglio attualizzarsi con l’evento e così far riferimento non tanto ai singoli quanto a una certa collettività che, mediante l’ente, deve a questo punto legittimamente essere fatta entrare nel processo penale”. In questo senso i giudici fanno riferimento a due precedenti citati dall’avvocato nell’atto di costituzione: uno riguarda l’Anpi, l’associazione dei partigiani, ammessa a partecipare a processi per crimini di guerra; l’altro, invece, il processo per la strage nazista di Sant’Anna di Stazzema, in cui si costituì la Regione Toscana, istituita solo nel 1970, ventisei anni dopo l’eccidio. E rilevano che “rispetto ad un preciso tragico evento, solo i familiari delle vittime paiono aver visto attualizzarsi nella rispettiva sfera giuridica il danno risarcibile più immediato, quale quello da lesione del rapporto parentale”.

Le famiglie di chi ha perso la vita nel crollo, dunque, potranno partecipare in modo collettivo al processo che vede alla sbarra i presunti responsabili. Una svolta che almeno sul piano morale mette in crisi la strategia di Autostrade, che per evitare le costituzioni di parte civile ha scelto la strada dei risarcimenti in via extragiudiziale (accettati da tutte le famiglie tranne quella di Egle Possetti). “I giudici sono stati davvero coraggiosi“, commenta l’avvocato Caruso. “È una decisione dalle conseguenze enormi e un segnale molto bello, anche per lo spirito che trasmette. La soddisfazione più grande è il sollievo dei parenti che si colpevolizzavano per aver accettato i soldi di Autostrade, pensando di aver perso per sempre il diritto a chiedere giustizia nel processo. In udienza una mamma è scoppiata in lacrime e mi ha detto: “Ora mi sono tolta il peso di quella firma“. In futuro i parenti di altre vittime potranno essere più sereni”. “Siamo contentissimi, ringraziamo il lavoro dell’avvocato Caruso ma anche noi stessi, perché è la nostra tenacia ad aver portato a questo. il fatto che in quattro anni non abbiamo mai mollato“, dice Possetti al fatto.it. “Una decisione giusta, coerente, che supera una norma assurda che non prevedeva eccezioni per casi come il nostro. Molti di noi non hanno accettato i risarcimenti a cuor leggero, ma lo hanno fatto per delle esigenze economiche. Il fatto che anche loro possano partecipare al processo è importantissimo”.

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