A quasi quattro anni dal crollo del 14 agosto 2018 si è tenuta a Genova la prima udienza del processo per la strage del ponte Morandi, interlocutoria e durata appena un paio d’ore: il procedimento è stato rinviato al 12 settembre. Il collegio di tre giudici (presidente Paolo Lepri, a latere Ferdinando Baldini e Fulvio Polidori) ha impiegato più di un’ora per fare l’appello dei 59 imputati (con i rispettivi difensori) e delle più di trecento parti civili già ammesse in udienza preliminare. Subito dopo, le aspiranti parti civili escluse in udienza preliminare (una quarantina) hanno potuto avanzare nuove richieste: tra queste il comitato Ricordo vittime Ponte Morandi, che riunisce i familiari dei deceduti.

Le prossime tappe – Poi è toccato alle nuove costituzioni: il comitato Zona arancione Ponte Morandi, formato sia da danneggiati economici sia da persone offese (coloro che hanno assistito al disastro dal vivo e hanno riportato traumi psichici) ne ha presentate circa 180, altre cinquanta sono arrivate dall’associazione consumatori Adoc. In totale, dunque – e al netto di quelle che non verranno ammesse – le parti civili potrebbero essere più di cinquecento. Il presidente Lepri ha stabilito il calendario del processo: “L’idea è di tenere tre udienze a settimana nei primi tre giorni della settimana”, ha detto, provocando le proteste di alcuni avvocati – soprattutto quelli provenienti da fuori Genova – per un impegno considerato troppo gravoso. Il calendario è stato fissato fino al luglio 2023: nelle prossime udienze si discuteranno le questioni preliminari sollevate dalle difese, dopodiché si aprirà il dibattimento vero e proprio con le deposizioni dei consulenti e, soprattutto, dei testimoni. Tra Procura, difese e parti civili ne sono stati chiesti un totale di quattromila, che deputato dai nomi che compaiono in diversi elenchi scende a 1.500 circa, di cui la metà chiesti dalle parti civili già ammesse.

L’atmosfera – Fuori dal Palazzo di giustizia, già dal primo mattino, una folla di giornalisti e telecamere, anche di testate straniere, come non si vedeva in città dai tempi dei processi per il G8. “Oggi è una giornata difficile ma molto importante perché inizia un percorso faticoso ma che speriamo possa portare alla verità e alla giustizia per le nostre famiglie”, ha detto ai cronisti la portavoce dei familiari delle vittime, Egle Possetti, che nella strage ha perso la sorella e i due nipoti. “Dopo quasi quattro anni di attesa noi abbiamo tante aspettative. Abbiamo l’aspettativa che porti giustizia questo processo, che faccia chiarezza sulle cause e sulle responsabilità che hanno portato all’uccisione dei nostri familiari, perché altrimenti le morti dei nostri cari saranno state inutili e loro non potranno riposare in pace. Speriamo che proprio i testimoni chiamati a deporre possano far emergere la verità , ancor più di quella che emerge dalle carte. Da questo processo può nascere un’Italia diversa“, conclude. A parlare anche gli avvocati dell’imputato più celebre, l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Giovanni Castellucci: “Fuori dalla favola, quindi nel rispetto dei fatti, emergerà che il ponte è crollato per un vizio costruttivo“, ha detto Giovanni Accinni, rilanciando la tesi regina delle difese.

Le indagini – Gli imputati rinviati a giudizio sono manager, tecnici, dirigenti e funzionari (ex e attuali) di Aspi, dell’ex controllata Spea Engineering (la società che fino a fine 2019, in pieno conflitto d’interesse, si occupava delle manutenzioni sulla rete) e del ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile (Mims, l’ex ministero dei trasporti). Gli imputati di Aspi e Spea devono rispondere dell’accusa di aver omesso (o addirittura falsificato) per decenni i controlli sulla struttura, nonostante gli avvertimenti dello stesso progettista (l’ingegner Riccardo Morandi) sul suo possibile ammaloramento e nonostante i numerosi segnali premonitori susseguitisi nel corso degli anni, per ritardare le manutenzioni e quindi aumentare i profitti della società. Dei 71 indagati iniziali, per dieci non è stato chiesto il rinvio a giudizio, mentre le due società (imputate in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti) sono uscite dal processo tramite un patteggiamento, dimostrando di aver risarcito le vittime e di aver preso le misure necessarie per evitare il ripetersi dell’evento e versando allo Stato un totale di quasi trenta milioni di euro, somma equivalente al profitto del reato, cioè ai lavori mai eseguiti che nell’ipotesi della procura avrebbero impedito il verificarsi del crollo.

L’organizzazione – Mai gli uffici giudiziari genovesi avevano dovuto fare i conti con un processo così affollato (e così sentito dalla comunità locale). Tribunale e procura generale hanno lavorato per garantire la massima accessibilità a parti, stampa e pubblico, tanto che i luoghi allestiti per il dibattimento sono ben quattro. La tensostruttura nel cortile al quarto piano, già utilizzata per l’udienza preliminare, ospita giudici, pm, imputati e difensori. Le parti civili e le persone offese – tra cui i familiari delle vittime – assistono invece dall’aula magna, due piani più in basso, dove si sono svolti (tra gli altri) i processi per il G8: qui potrà stare anche l’eventuale pubblico, fino al raggiungimento della capienza. Ai giornalisti invece è stata riservata l’aula Giuseppe Borrè (quinto piano). Se l’aula magna di Palazzo di giustizia raggiungesse il limite di capienza, infine, per il pubblico sarà disponibile anche quella dell’ex seminario arcivescovile, a duecento metri di distanza.

La protesta dei giornalisti – Tutte le strutture sono in collegamento video con quella centrale, con una regia gestita da tecnici del ministero. Con un’ordinanza depositata a inizio giugno, però, il collegio ha impedito le riprese da parte degli operatori televisivi (con l’eccezione di dieci minuti concessi durante la prima udienza) allo scopo di evitare “una spettacolarizzazione dell’evento prevedibilmente deteriore per il sereno e regolare svolgimento delle udienze”. Una decisione contro cui Ordine dei giornalisti e Federazione nazionale della stampa hanno protestato in mattinata con un presidio di fronte a Palazzo di giustizia. Presente anche il presidente dell’Odg Carlo Bartoli: “Il crollo di ponte Morandi è un evento che ha scosso non solo il nostro Paese ma tutto il mondo, è un fatto eclatante, clamoroso. Non siamo davanti a fatti intimi ma a responsabilità pubbliche. Non è accettabile che venga oscurato un processo per un fatto di questo genere. Faremo di tutto perchè questo non sia un precedente”, ha detto.

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