Sarà election day in Sicilia. Dopo avere tenuto tutti sulla graticola per settimane, e dopo una giornata altalenante in cui sembravano imminenti, salvo poi ritrarsi prendendo ancora tempo, Nello Musumeci, presidente della Regione, si è dimesso. Dimissioni annunciate con un video sui social che di fatto consentono di accorpare le elezioni regionali, previste nell’isola per novembre, con le Politiche del 25 settembre.

“Non c’è nessuno motivo politico alla fonte di questa decisione, sono quasi tutte ragioni di ordine tecnico, di ordine procedurale, dettate dal buon senso”, così ha sottolineato Musumeci, fugando le voci su questa lunga attesa e sulla suspense finale di giovedì, che celavano, secondo alcuni osservatori, una contrattazione all’interno della coalizione. Di certo da quando è stata fissata la data per le politiche i partiti del centrodestra hanno chiesto al governatore di permettere l’accorpamento delle due elezioni, possibile solo con le sue dimissioni, consentendo così un grande risparmio economico per le casse regionali. Ma dietro la richiesta di votare tutto il 25 settembre non mancherebbero motivazioni squisitamente politiche, come quella dell’effetto trascinamento: la coincidenza di voto per le elezioni nazionali e per le regionali garantirà la volata per i partiti e offuscherà, con tutta probabilità, chi si candida solo alla Regione, come Totò Cuffaro e Cateno De Luca (che da poco ha rotto l’alleanza con l’ex grillino, Dino Giarrusso, nata per le comunali e già naufragata).

Motivazioni buone anche per il presidente siciliano che dall’accorpamento pare abbia tutto da guadagnare: il suo movimento Diventerà bellissima, non verrà affogato dal trascinamento ma potrà anzi godere della volata di Fratelli d’Italia alla quale ha aderito formalmente da qualche settimana. Ma ha tutto da guadagnare soprattutto dopo che l’orizzonte della sua candidatura è andato oscurandosi. Musumeci non a caso ha tenuto tutti col fiato sospeso: le dimissioni segnano per lui una resa amarissima, dopo avere lottato cocciutamente per mesi per la sua riconferma. Sostenuto da Giorgia Meloni, che in più occasioni aveva rimarcato come Musumeci fosse “il candidato naturale”, essendo l’uscente, aveva fino alla fine sperato di spuntarla.

Ma nei mesi scorsi si è trovato spesso picconato dal presidente dell’Assemblea regionale, il forzista Gianfranco Micciché, che non ha risparmiato bordate nei confronti del presidente siciliano, reo, secondo il forzista, di avere governato senza confrontarsi con i partiti della sua coalizione. Decisivi sono stati infine gli equilibri nazionali. La partita del centrodestra si gioca infatti su tre regioni: Lombardia, Lazio e Sicilia. Spartite nelle candidature tra i tre partiti della coalizione. Fratelli d’Italia ha infine deciso di rivendicare per sé il Lazio, lasciando l’isola agli alleati. Naufragate le speranze del governatore, il campo del centrodestra ha discusso nelle scorse settimane il nome del sostituto da candidare alle regionali, senza ancora venirne a capo. L’unico nome in campo, ufficialmente, resta ancora quello di Musumeci, che infatti nel video delle dimissioni sottolinea: “Sono pronto a guidare la coalizione di centrodestra per garantire che per la seconda volta continuativa che la nostra coalizione possa guidare le sorti della regione. Qualcuno all’interno della coalizione dice che io abbia un brutto carattere che io sia molto rigoroso, che abbia un brutto carattere, può anche succedere, e che sia divisivo. Siccome per me l’unità della coalizione è più importante di qualunque pur legittima aspirazione a continuare il lavoro iniziato cinque anni fa, se sono divisivo, se non è un capriccio di qualcuno, io ho detto che posso benissimo fare un passo di lato”.

Non c’è ancora un altro nome per la candidatura, ma per il governatore le speranze sono risicatissime. Per lui, come compensazione, ci sarebbe in serbo, secondo fonti interne al centrodestra, un posto addirittura di governo o sottogoverno più l’elezione blindata del delfino Ruggero Razza, l’assessore alla Salute, adesso a giudizio per lo scandalo sui numeri Covid da “spalmare” che lo travolse nel marzo del 2021. Questo sarebbe il retroscena delle dimissioni, che lui rinnega: “Non c’è nessun tornaconto”. Mentre all’orizzonte per la candidatura del centrodestra “è ancora il caos”, sostiene un big della coalizione. In pole ci sarebbe la forzista Stefania Prestigiacomo, che è però invisa ai leghisti per via delle sue posizioni sull’immigrazione. Prestigiacomo nel periodo caldo della gestione migrazione di Matteo Salvini al Viminale, salì a bordo della Sea Watch nel gennaio del 2019, quando era attraccata al largo di Siracusa, in attesa di un permesso di sbarco. Il rancore per la mossa della forzista ancora cova tra i leghisti, tanto da mettere un veto sulla sua candidatura.

Nel frattempo però in Lombardia, si va rafforzando il nome di Letizia Moratti, che il sondaggio di Winpoll dà in vantaggio su Attilio Fontana: un sondaggio che spariglia le velleità della Lega che così potrebbe cedere la Lombardia a Forza Italia e rivendicare la Sicilia. Un esito ai limiti del paradosso per l’ex Lega Nord che dovrebbe rinunciare alla sua regione d’eccellenza per ottenere invece la candidatura di un suo uomo nella regione più a sud d’Italia. Ma non solo, proprio nell’isola a rappresentare il partito è Nino Minardo, lui, il fratello e il padre sono proprietari della Giap Petroli, azienda che gestisce servizi di distribuzione di petrolio in tutta Italia, compresi alcuni distributori della russa Lukoil. Un particolare che potrebbe creare più di qualche difficoltà alla Lega, al momento proprio sotto osservazione per i rapporti di Salvini con Putin. Per questo motivo, la candidatura di Minardo sarebbe stata messa da parte, mentre al suo posto si è aperto un varco per il parlamentare leghista Alessandro Pagano, ex assessore al Bilancio del primo governo Cuffaro. Se la spuntasse, Pagano dovrebbe vedersela con Caterina Chinnici, risultata vincitrice delle primarie del centrosinistra dello scorso 23 luglio, ma vista la spaccatura tra Pd e M5s a livello nazionale, non sono esclusi colpi di scena. Così che più di qualcuno nelle retrovie del centrosinistra rimarca: “Come si potrebbe nello stesso giorno andare divisi a Roma e insieme in Sicilia?”.

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