di Carlotta Croci

La giornata internazionale di Nelson Mandela – ricorrente il 18 luglio, giorno della sua nascita nel 1918 – si presenta ogni anno come un’ottima occasione per ricordare l’importanza dell’attivismo e degli attivisti: individui che fanno delle loro idee e dei loro valori un principio cardine, che fanno della propria determinazione e della propria convinzione un’arma.

Tuttavia, il mondo contemporaneo appare molto differente da quello in cui Mandela si batté per porre fine alla segregazione razziale: gli impatti della pandemia di Covid-19 e delle sue innumerevoli varianti, gli effetti disastrosi del cambiamento climatico e il conflitto russo-ucraino dipingono uno scenario in cui regnano violenza e ingiustizia. In questo contesto, coloro che più di tutti patiranno le conseguenze dei rivolgimenti odierni sono i giovani: per questo, oggi come non mai, le nuove generazioni sentono sempre di più la necessità di essere loro stesse il motore per il cambiamento che vogliono vedere nel mondo.

Emergenza scaccia emergenza”: sembra il modo migliore per descrivere come i leader politici mondiali stanno agendo per far fronte ai recenti sviluppi globali. Eppure questa non è e non deve essere ritenuta una tattica efficace: le crisi che stiamo affrontando hanno effetti che si sommano e si intrecciano, rafforzandosi mutualmente e convergendo in un esacerbarsi delle disuguaglianze. Ne è una prova la crisi alimentare che ha colpito il continente africano per effetto del conflitto ucraino, la quale potrebbe spingere 40 milioni di persone in più nella povertà estrema, minando la speranza in un futuro fatto di progresso ed eque possibilità per tutti.

Maggiore uguaglianza significa anche una maggiore sicurezza globale: la pandemia ha dimostrato come la gran parte delle sfide odierne non conosca confini e non sia limitata territorialmente. Così come per l’emergenza sanitaria, lo stesso vale per la crisi climatica. I dieci paesi più vulnerabili al clima del mondo si trovano nel continente africano: questo dato è preoccupante, visto l’impatto distruttivo che il cambiamento climatico ha sull’agricoltura, i sistemi idrici e la salute. È chiaro che in un mondo interconnesso non ci sia più spazio per l’egoismo.

Attualmente disponiamo degli strumenti necessari per garantire ai paesi a basso reddito un’adeguata ripresa dalla crisi pandemica ed economica, ma per il loro finanziamento troppe promesse sono rimaste irrealizzate. È necessario che si tenga fede agli impegni presi, a cominciare dall’obiettivo concordato dai paesi ad alto reddito di destinare lo 0,7% del proprio Pil all’aiuto pubblico allo sviluppo. Non va dimenticata inoltre la promessa redistribuzione di almeno 100 miliardi di dollari di diritti speciali di prelievo verso i paesi a basso reddito. I leader globali devono agire con lungimiranza, ma soprattutto con urgenza e senza lasciare nessuna crisi, nessun paese e nessuna persona indietro: c’è bisogno di concretezza, il tempo delle promesse è finito.

In questo scenario globale, di fronte alle incertezze e alle contraddizioni del presente, noi giovani non vogliamo rimanere semplici spettatori: il lascito di coloro che sono venuti prima di noi è un mondo tecnologicamente avanzato e interconnesso, ma dilaniato da continui sconvolgimenti e dall’ineguaglianza. Noi ci rifiutiamo che questa sia l’eredità che ci viene trasmessa. “A volte spetta a una generazione essere grande. Potete essere voi quella generazione.” (“Sometimes it falls upon a generation to be great. You can be that generation”), diceva Nelson Mandela. Chi sostiene che i giovani siano indifferenti nei riguardi della politica si sbaglia: nella mia esperienza come giovane attivista nel programma Youth Ambassadors di The One Campaign ne ho avuto la conferma.

In ogni angolo del mondo esistono reti di giovani estremamente formati e informati, consapevoli e con un forte senso civico che si battono per quello in cui credono ogni giorno, a partire dal loro piccolo fino ad incontrare i propri rappresentanti, sfatando il mito dell’ineffabilità e della lontananza della sfera politica. Eppure, pur essendo coloro che andranno incontro alle conseguenze delle scelte prese oggi, i giovani sono ancora sottorappresentati nelle istituzioni politiche: secondo un report del 2021 dell’Undp, il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, meno del 2.6% dei parlamentari a livello mondiale ha meno di 30 anni, sebbene rappresenti più di metà della popolazione globale. Saremo noi giovani a vivere il futuro che stiamo cercando di plasmare: per questo vogliamo che le nostre voci siano considerate e chiediamo un’adeguata rappresentanza nelle istituzioni politiche come fonte di prospettive alternative, nuove visioni e come portavoce delle nostre specifiche preoccupazioni e necessità.

Come giovani attivisti non dobbiamo permettere al senso di piccolezza, che può pervadere ciascuno di noi, di sopraffarci. Non bisogna necessariamente essere supereroi, primi ministri o presidenti: essere un attivista significa avere a cuore il cambiamento positivo, credere in esso e tendere verso la sua realizzazione.

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