Violazione del divieto di subappalto in contratti con la pubblica amministrazione, frode nelle forniture pubbliche, truffa aggravata ai danni dello Stato, sfruttamento del lavoro e impiego di manodopera clandestina, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, e reati connessi. È collegata agli appalti pubblici per le forniture di Dpi – camici e tute per i sanitari durante l’emergenza Covid – l’inchiesta di squadra mobile e procura di Prato che ha portato all’esecuzione di 10 ordinanze di custodia cautelare – 4 in carcere, 6 ai domiciliari – di altre 6 misure cautelari e alla notifica di ulteriori 11 informazioni di garanzia. Le indagini sono partite dalla denuncia di un sindacato sullo sfruttamento di un lavoratore senegalese in un’azienda tessile cinese di Prato portando poi alla scoperta di un sistema di subappalti nella produzione dei Dpi, in violazione della normativa per le gare pubbliche.

Al centro delle indagini, gli appalti vinti dalla Consorzio Gap, azienda romana aggiudicandosi commesse del commissario straordinario per l’emergenza Covid e della Regione Lazio. Per l’accusa non essendo in grado, per mancanza di strutture e capacità, di soddisfare le richieste del committente il Consorzio Gap si sarebbe avvalso indebitamente in subappalto di aziende del Pratese e di altre province italiane. Su Prato a lavorare in subappalto sarebbero state imprese cinesi sfruttando il lavoro di operai stranieri – bengalesi, pakistani, africani e orientali – impiegati in modo continuativo, anche per 12 ore al giorno e nei giorni festivi.

“Il guadagno realizzato grazie all’abbattimento del costo del lavoro – spiegano gli investigatori – è servito a massimizzare i profitti dei vertici del consorzio romano e anche delle imprese ‘consorziate'”. “In sintesi è stato accertato – si osserva – un quadro allarmante in cui è stato scaricato il costo della prevenzione, nel pieno dell’emergenza pandemica sullo sfruttamento di lavoratori, spesso, stranieri, privi di qualsiasi tutela”. I principali contratti esaminati dagli inquirenti, si legge in una nota della procura, sono la fornitura di circa 2 milionidi camici monouso in favore della Asl Roma 2 aggiudicata il 28 settembre 2020 nonché una commessa prevista dal commissario straordinario con cui è stata affidata al Consorzio Gap il 12 novembre 2020 la fornitura di 5 milioni mezzo di tute protettive sterilizzate per un totale di 44,5 milioni di euro nonché 5,5 milioni di tute non sterilizzate per un totale di 39,05 milioni.

Le indagini hanno permesso di verificare come il distretto dell’abbigliamento che si sviluppa a sud di Prato sia “di fatto divenuto un ‘hub’ per la realizzazione illecita dei presidi sanitari commissionati dal Commissario emergenza Covid e dalla Regione Lazio”.
Il Consorzio Gap di Roma, che si erano aggiudicato gli appalti al centro delle indagini, “di fatto non aveva la struttura e le capacità per soddisfare le richieste della Pubblica Amministrazione committente” e si sarebbe dunque avvalso “indebitamente in subappalto di aziende” delle provincia pratese, “che hanno operato in violazione delle normative in materia di lavoro, igiene e sicurezza”, spiega la procura in una nota.

Il guadagno realizzato grazie all’abbattimento illegale del costo del lavoro, secondo gli investigatori, è servito a massimizzare i profitti dei vertici del consorzio romano ed anche delle imprese ‘consorziate’, che hanno potuto lucrare su margini sempre maggiori rispetto a quanto corrisposto dalla Pa committente per la produzione ‘legale’ dei presidi sanitari”. Dalle indagini è emerso che il Consorzio Gap avrebbe anche importato indebitamente dall’Albania tute protettive che doveva fornire, nonostante l’obbligo di assicurare Dpi ‘made in Italy’. L’inchiesta ha portato anche a un sequestro di 43 milioni di euro tra denaro e beni nei confronti di sei indagati riconducibili alla gestione di fatto o di diritto del consorzio Gap. La procura ha poi emesso 11 avvisi di garanzia disponendo perquisizioni per imprenditori italiani e stranieri di Reggio Emilia, Lecco, Pisa, Campobasso, Vicenza, Bologna, Arezzo, Torino, Brescia, Lecce, Pavia, Modena e Isernia: si tratta di ‘terzisti’ che per l’accusa avrebbero prodotto camici e tute violando il divieto di subappalto in commesse pubbliche e ai quali è contestata anche il reato di frode.

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