Nella nostra magnifica e perdurante ossessione per i romanzi di Georges Simenon, Le sorelle Lacroix e Il dottor Bergelon ci mancavano. Ci mancavano e, ora, conclusi, ci saziano. Ci saziano, però, giusto il tempo della prossima traduzione e riedizione Adelphi. A proposito, un inciso curioso. Li abbiamo contati, i romanzi di Simenon pubblicati dalla casa editrice milanese. Proprio scorrendo la pagina 4 con il dito, titolo per titolo. Sono 85, più due raccolte di romanzi e, ovviamente, tutta la mistica giallistica di Maigret (qui però la conta si ferma perché probabilmente non v’è fine). Dicevamo di questi “nuovi” personaggi della galleria di Simenon. Siamo pur sempre alla fine degli anni trenta (non sembra mai così connotato e inchiodato il tempo nei romanzi di Simenon, vero?) in quegli spazi urbani medio piccoli tipicamente da provincia (francese). Con Le sorelle Lacroix a Bayeux, lassù nell’umido e grigio cielo normanno; in una sorta di comune seminventato della bassa Loira, Bugle, per Il dottor Bergelon. Questi luoghi, come sempre, in Simenon, non è che stanno banalmente “stretti” ai personaggi, bensì impongono sotterraneamente l’idea di una impostura sociale al cui passo risulta sì professionalmente facile stare, ma altrettanto intimamente dissonante farne parte. Il dottor Bergelon, ad esempio, è un affermato medico di famiglia. Moglie, due figli, passeggiata reverente nel corso principale, clientela costante, status riconosciuto e rispettato. Eppure manca un frammento per diluire quella soggiacente agitazione interiore, quell’inadeguatezza che non deflagra mai in crisi dirompente dell’esistenza finzionale e della narrazione letteraria. Qui si tratta di un parto finito tragicamente nella clinica privata di un medico blasonato che ha sedotto Bergelon chiedendogli di inviargli pazienti bisognosi di interventi chirurgici anche i più banali. Tra questi una ragazza incinta che, causa negligenza del direttore della clinica e in parte di Bergelon, entrambi alticci la fanno partorire d’urgenza, morirà, assieme al feto, scatenando l’ira e la vendetta del marito, ex impiegato di banca, improvvisamente uomo dissoluto che prende di mira con violenza solo Bergelon. Una resa dei conti dapprima tesa e oppositiva, poi lentamente mimetica, tra il vedovo e il nostro protagonista che apparentemente per sfuggire alle minacce di morte dell’uomo fugge verso l’oceano Atlantico, poi addirittura in Belgio, ad Anversa, fin quasi su una nave mercantile in partenza per Trebisonda, dimenticando quello che (forse) è sempre sembrato il suo fardello familiare e sociale. Eccolo il tocco simenoniano, quella costruzione linguistica tesa ad una attenta sottrazione di fronzoli aggettivali e subordinate distraenti, e allo stesso tempo concentrata su una essenziale, coerente, splendente summa descrittiva, i cosiddetti mots-matiere o parole-materia – come le ha definite Ena Marchi, editor della narrativa francese per Adelphi-. Il quadro, la pagina, la tensione verso una (ri)soluzione è sempre così dannatamente e ipnoticamente pulita in Simenon che c’è da lustrarsi gli occhi per il fervore e l’empatia che i suoi racconti producono con quello che pare un minimo, naturale, sforzo compositivo. Ancora più kammerspiel, ancor più trappola ambientale stringente per i protagonisti è l’azione/narrazione de Le sorelle Lacroix. Un thriller alla maniera chabroliana (pardon Chabrol è venuto ampiamente dopo), chiuso tra le quattro mura cariche di odio e ipocrisia (“era il tono tipico della casa: voci aspre, sguardi impietosi e sempre pieni di sottintesi”) nella casa delle figlie adulte del defunto notaio del paese. Tra la dispotica Poldine e la sorella Mathilde scorre un malmostoso sentimento di tacito accordo nel sopravvivere distanti. In mezzo a loro, il marito chiuso e silente di Mathilde, Emmanuel, che con lei ha avuto i figli, ora grandi Jacques e Genevieve, e che però ha intessuto una relazione nel passato con Poldine che da lui ebbe una figlia, Sophie. Invece di percorrere la scorciatoia più scontata di apici, scene madri, risoluzioni spettacolari, Simenon sceglie di tessere trama e ordito partendo, e ricordando ad ogni piè sospinto, l’atteggiamento rinunciatario e febbrilmente pauroso di Genevieve, timorosa di Dio, in preghiera continua affinchè i santi aiutino a ritrovare la serenità in famiglia, finita immobile in un letto, psicologicamente capace di imporsi una paralisi dei movimenti, metaforicamente estendibile all’effetto devastante di cotanto veleno (e qui senza spoilerare potremmo dire che ci vorrebbe addirittura Maigret) che sprizza tra salotto, camere da letto e un sempre chiuso atelier all’ultimo piano. Non vogliamo farvi perdere altro tempo, allora, Il dottor Bergelon e Le sorella Lacroix vi attendono in tutte le librerie. Chissà magari anche a voi salirà la febbre post Maigret e di Simenon non ne potrete più fare a meno.

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