“Attenzione, che forse abbiamo un vincitore tra tutti gli articoli presenti e passati sul Reddito di Cittadinanza”. Inizia così uno dei tanti tweet che commentano l’intervista di Repubblica a un pizzaiolo italiano titolare di un ristorante a Dubai, dove a differenza dell’Italia “di personale ce n’è in abbondanza”. E aggiunge: “Penso che la differenza principale la si debba accreditare al Reddito di Cittadinanza“. Lui pensa, il quotidiano ci fa il titolo, qualcuno non ci sta e twitta “la famosa Repubblica di Dubai”. Purtroppo c’è ben poco da ridere, perché gli Emirati Arabi Uniti non brillano certo per il loro diritto del lavoro. Nel paese l’80 per cento della popolazione è costituito da lavoratori migranti e il 90 per cento di questi proviene dall’India e dall’Africa, una situazione che accomuna diversi Stati del Golfo, al centro delle denunce di molte organizzazioni internazionali.

Chi da anni tiene d’occhio gli annunci di lavoro a Dubai sa che la maggior parte offre 200-300 euro e chiede 12 ore al giorno per 26 giorni al mese. Occasioni che in molti casi sono riservate: “Offerta rivolta solo a candidati nepalesi, del Bangladesh, indiani, pakistani”, come riportato da osservatoriodiritti.it ricordando che si tratta di persone che mandano buona parte dei guadagni alle famiglie nei paesi d’origine. Gli Emirati non possono fare a meno dei lavoratori stranieri, ma la loro occupazione resta legata all’istituto della Kafala che vincola il lavoratore al datore, che può addirittura trattenere il suo passaporto dal momento dell’arrivo, oltre a decidere l’orario di lavoro e le condizioni di alloggio. Se qualcuno ne ha abbastanza e pensa di andarsene, meglio sapere che il datore può denunciarlo e che c’è il rischio di andare incontro a multe, detenzione ed espulsione. Non si tratterà dei dipendenti del Belcanto, il ristorante del premiato pizzaiolo intervistato da Repubblica, situato di fronte “al Burj Khalifa nel prestigioso teatro del Dubai Opera”. Ma nel settore del turismo come dell’edilizia, per esempio, le testimonianze raccolte non lasciano dubbi.

L’ente di beneficienza internazionale per i diritti umani e il lavoro Equidem ha ascoltato le testimonianze dei lavoratori che negli Emirati contribuiscono alla costruzione dei palazzoni che hanno reso famose capitali del lusso come Abu Dhabi e Dubai. A marzo si è concluso l’Expo, vetrina che gli emiratini hanno pubblicizzato come “la prossima ondata di genialità umana”. Per la dignità invece tocca aspettare. La maggior parte dei lavoratori riferisce di straordinari non pagati, paghe dilazionate, impossibilità di provvedere ai bisogni essenziali. In quasi la totalità dei casi gli intervistati hanno confermato che il loro datore di lavoro è in possesso del loro passaporto. Inoltre, l’ente riferisce di verificate violazioni delle leggi sul lavoro dell’Emirato, a partire dalla sicurezza. Inutile cercare un sindacato per avere conferme, perché non ne esistono. Si tratta di condizioni presenti anche in Arabia Saudita, terra del “nuovo rinascimento” secondo Matteo Renzi, come nel Paese ospitante del Campionato del Mondo 2022 di calcio, il Qatar.

Tornando all’Italia, l’Istat ha appena diffuso i nuovi dati sull’occupazione, in calo all’8,6%, he registrano 120 mila occupati in più rispetto al quarto trimestre 2021 e 905 mila in più rispetto all’anno precedente. L’incremento principale riguarda soprattutto i dipendenti a termine (+16,3%) , ma anche quelli a tempo indeterminato (+ 2,6%). Quanto alla carenza di lavoratori che alcuni settori lamentano, i dati hanno smentito più e più volte la tesi di chi ritene che “il Reddito di Cittadinanza ci fa concorrenza”, come dichiarato dal capo di Confindustria Carlo Bonomi. E se in Italia capita che domanda e offerta di lavoro non si incontrino, le ragioni sono altre. Per dirla con un altro articolo di Repubblica, “disallineamento tra qualifiche richieste e qualifiche possedute, bassi salari, cattive condizioni di lavoro, lontananza geografica tra domanda e offerta di lavoro. Ma da che è stato istituito il Reddito di Cittadinanza è questo ad essere indicato come la causa principale”. Basta ricordarsene

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