Il fattore tempo sta diventando cruciale nella guerra di Putin, che lo ritiene una variabile totalmente a suo favore nell’escalation bellica come in quella propagandistica, di ora in ora più violenta e minacciosa contro l’Occidente, l’Europa, l’Italia. Forte della lenta, contrastata ma progressiva avanzata nel Donbass all’insegna della distruzione totale ed indiscriminata, come testimoniano i raid decuplicati su Severodonetsk, che stronca platealmente qualsiasi spiraglio negoziale o ipotesi di tregua. Rigettando così ogni responsabilità per l’emergenza del grano, nonostante le razzie russe e la distruzione mirata dei granai, sull’Ucraina e i suoi alleati occidentali.

Sull’invio delle armi, nonostante il ridimensionamento della gittata adottato da Biden con l’intenzione esplicitata di non dare adito all’accusa di voler ampliare il conflitto, Putin ha dichiarato che “hanno l’unico risultato di estendere il conflitto più a lungo possibile” con la minaccia, se verranno inviati missili a lungo raggio, “di colpire quelle strutture finora risparmiate dalla guerra”. Intanto, anche se non sono stati inviati i missili a lungo raggio, Kiev è stata nuovamente colpita con un attacco missilistico dal mar Caspio a poche ore dalla dichiarazione tragicomica, presumibilmente ed auspicabilmente ad uso interno, “la Russia non è preoccupata dall’invio di nuove armi all’Ucraina perché le schiaccia come noci”.

Quasi in concomitanza Macron, che si è impegnato ininterrottamente dall’inizio del conflitto per mantenere un canale di dialogo diretto con Putin, è ritornato sul leitmotiv imprescindibile, condiviso da tutta la variegata galassia non interventista e dai fiduciosi nella possibilità di un negoziato in tempi ragionevoli, di “non umiliare Putin” e con lui la Russia, dando per scontato che l’autocrate, per usare un termine soft, rappresenti veramente il suo popolo. Il 4 giugno Macron ha ritenuto di dover ribadire in un’intervista alla stampa regionale francese il concetto “Non bisogna umiliare la Russia” espresso lo scorso 9 maggio in occasione del suo discorso davanti al Parlamento europeo, che già allora aveva suscitato una serie di critiche. Le reazioni più forti in questi giorni sono arrivate dal ministro degli esteri ucraino Kuleba che ha risposto: “Gli appelli a evitare di umiliare la Russia non possono che umiliare la Francia e qualsiasi altro paese che dovesse ripeterli, perché la Russia si sta umiliando da sola. Piuttosto dovremmo concentrarci sul modo di rimettere la Russia al suo posto. Solo così sarà possibile ottenere la pace e salvare vite umane”.

L’intenzione “positiva” di Macron sarebbe quella di accreditare la Francia come potenza capace di mediazione all’agognato tavolo di trattativa e di sostenere il ruolo dell’Europa come possibile ed auspicabile mediatore al posto di potenze di dubbia reputazione quali la Turchia o la Cina. Solo che l’analogia riguardo “l’umiliazione da evitare” in riferimento a quella iniqua riservata alla Germania alla fine della prima guerra mondiale con il trattato di Versailles appare abbastanza impropria, come è stato rilevato da diversi storici. E soprattutto avendo presente la mole di distruzione, brutalità, efferatezze perpetrate con metodo e ferocia dall’esercito di Putin, grazie anche al decisivo contributo dei fidati ceceni di Kadyrov e dei mercenari fantasma della Wagner, la parola “umiliazione” sembrerebbe inappropriata e “inaccettabile”, come ha sottolineato anche Pierre Haski nella sua analisi La mediazione con Mosca rischia di dividere l’Europa (Internazionale, 6/6/2022).

Mentre noi ci interroghiamo, dibattiamo e spesso litighiamo riguardo alle parole da usare per non indispettire ulteriormente Putin e “non umiliare il popolo russo” e la sua impareggiabile cultura, da Mosca arrivano senza limite e decenza insulti e minacce rabbiose da rappresentanti apicali. Da ultimo, in ordine cronologico, Dmitry Medvedev – attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, già presidente della Federazione russa e accreditato almeno in Italia come “moderato” – si è lanciato in un’invettiva cruenta contro “i nemici della Russia bastardi e imbranati che vogliono la nostra morte. Finché sarò vivo farò di tutto per farli sparire”.

A Roma la Farnesina ha dovuto convocare l’ambasciatore Razov, anche lui una ex “colomba”, che il 25 marzo scorso aveva già depositato una denuncia per istigazione a delinquere e apologia di reato contro Domenico Quirico e La Stampa per un articolo sul “tirannicidio” riferito a Putin, in cui l’autore dopo una serie di ipotesi di scuola mutuate dalla letteratura classica concludeva che si tratta di una non soluzione “priva di senso ed immorale” oltre che potenzialmente produttiva di maggiore caos. E già in quella occasione, in una improvvisata “conferenza stampa” senza domande quale rappresentante di un paese dove la libertà di informazione notoriamente è sacra, aveva tacciato di “immoralità e di violazione della deontologia” l’informazione in Italia e aveva minacciato ulteriori e non meglio specificate iniziative su input di Mosca.

La recente convocazione da parte della Farnesina fa seguito alle pesanti “accuse di russofobia” lanciate in concerto dal ministero degli esteri russo e dall’ambasciatore russo in Italia e di “amoralità” contro funzionari e media italiani “coinvolti in una campagna antirussa”. Nell’elenco delle innumerevoli presunte violazioni dei diritti dei cittadini russi c’è un ventaglio abbastanza pittoresco: dal medico che non avrebbe voluto abbassare la mascherina con la paziente russa per non agevolarla con il labiale allo “sgarbo” della Scala, condiviso da molti altri prestigiosi teatri europei di non avvalersi di Valery Gergiev, amico storico ed “ambasciatore culturale” di Putin, con un patrimonio molto ben schermato da oligarca di prima grandezza e indisponibile a prendere le distanze dalla “operazione speciale” dopo aver apertamente sostenuto l’invasione della Crimea nel 2014. Il copione ampiamente rodato della propaganda russa a tutti i livelli opera in parallelo sull’aggressività verbale, l’arroganza, l’irrisione dell’interlocutore e sulla martellante denuncia di una pervicace persecuzione.

L’ha sperimentato personalmente anche Giletti con la sua “avventurosa” ed istruttiva trasferta a Mosca dove, come scontato, non ha ricevuto nessuna risposta nel merito, molta mistificazione e qualche insulto per le sue domande, ritenute dai “colleghi” una mancanza di rispetto ed una insolente pretesa di superiorità. La portavoce di Lavrov Maria Zakharova ha intervallato il suo sostanziale monologo, in cui ha rivendicato la necessità dell’operazione speciale per sventare l’aggressione alla Russia pianificata dalla Nato e ha intimato: “Dovete smettere di inviare le armi. Basta”, con l’irrisione e la delegittimazione dell’intervistatore. Poi grazie a Vladimir Solovyev, anchorman molto vicino a Putin e anche lui “vittima” di russofobia per il sequestro di tre immobili sul lago di Como, ha fatto irruzione nel dibattito anche “l’ironia che voi non capite”. Qualche esempio? “Bucha è una messinscena: chi, come, quando, perché sono morti? Sono morti per un bombardamento”. Nel caso della giornalista della tv russa che protestò con un blitz esibendo in diretta il cartello NoWar multata e condannata all’oblio, attualmente rifugiata in Germania, “non c’è stata nessuna censura perché comunque è andata in onda”. Quanto poi ai diritti universali dell’uomo e del cittadino e ai principi costituzionali dei sistemi democratici la questione è semplice: “Nella Torah non c’è la democrazia liberale”. E si presume nemmeno nella Bibbia e nel Vangelo, per cui non si sa di cosa parli l’Occidente.

Forse riguardo agli allarmi sul rischio di isolare ed “umiliare la Russia” anche sul versante culturale, sarebbe opportuno domandarsi in via preliminare e con onestà intellettuale “chi umilia chi”. E se è vero che tutta la nostra cultura letteraria, musicale, operistica è inscindibilmente legata a quella russa e deve mantenere e salvaguardare questo legame identitario con Tolstoj, Dostoevskij, Cechov, Tchaikovsy, Stravinsky (l’elenco sarebbe infinito), non si vede che cosa abbia a che fare l’attuale regime liberticida e guerrafondaio in sinergia con un capitalismo dai tratti criminali, corrotto in ogni ganglio del potere, con un tale patrimonio di civiltà.
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