Cultura

C’è del bondage in Donizetti: VoceallOpera trasforma le botte di “Rita” in un gioco erotico. Il palcoscenico? In un cascinale in campagna

Dopo due anni di stop l'associazione che si impegna a portare la lirica in periferia (e oltre) torna con l'appuntamento del 2 giugno a Cascina Paù, a Rosate. In scena una rivisitazione originale di un lavoro poco conosciuto del compositore bergamasco, tra stabilimenti balneari, rosa shocking, frustini e manette

di Martina Milone

L’opera non è materia solo per i teatri, ma anche per la campagna. C’è un posto ad appena 30 minuti da Milano, nel verde di Rosate, dove il 2 giugno di ogni anno Rossini, Puccini, Verdi e, pochi giorni fa, Donizetti, vengono portati in scena sotto al portico di una cascina. Sì, avete capito bene. Tra i profumi del gelsomino e i suoni della natura, i giovani della compagnia VoceAllOpera – associazione che porta la lirica in periferia, e oltre – offrono al pubblico un’ora o poco più di puro spettacolo fuori dai consueti palchetti, platee e piccionaie. A volerlo è Maria Candida Morosini – brillante mecenate milanese, presidente onoraria della compagnia e Ambrogino d’oro in carica – che mette a disposizione la sua Cascina Paù, un complesso del XVIII secolo dove, per un attimo, ci si può dimenticare del frastornìo della città. E originale è anche il “foyer” : calici di vino e un ricco buffet sono serviti, al termine della rappresentazione, in un vasto giardino dove ai capannelli di persone del teatro si sostituiscono intere tavolate dal sapore mediterraneo.

Anche l’opera portata in scena quest’anno, dopo due anni di stop sofferto dovuto al Covid, Rita di Gaetano Donizetti, già buffa di suo, è fuori dai canoni, in pieno stile Gianmaria Aliverta, il regista, che, come spiega lui stesso, ha riadattato anche alcune parti per renderle più attuali. La trama resta la stessa, ma Aliverta, sempre attento all’attualità, la spoglia del retrogusto amaro: le botte di Gasparo a Rita e quelle poi di Rita al nuovo marito Beppe, diventano un gioco erotico, con tanto di diversi tipi di frustini e di manette. Insomma, maneschi sì, ma solo per piacere.

Siamo in uno stabilimento balneare, chiringuito incluso. La scena, pensata e realizzata da Francesca Donati, ha le tinte forti: il rosa shocking va per la maggiore. E c’è anche un bagnino, un simpaticissimo (e bravissimo) Aldo Caccamo che fa da voce narrante. Rita, interpretata dalla brillante Kaori Yamada, è la proprietaria del lido e, come richiede la trama, “sottomette” il nuovo marito, un timido Beppe, portato in scena da un eclettico Riccardo Benlodi, che, a vederlo, ricorda un po’ una Magda di Bianco, Rosso e Verdone. La tranquillità dello stabilimento viene però interrotta dal ritorno di Gasparo, un sorprendente Omar Kamata, creduto morto in un naufragio da Rita ma in realtà prossimo alle nozze con una canadese. Con tanto di valigetta per “maestri del bondage” e intercalare veneto (da ridere il “ghe sboro” ripetuto continuamente), Gasparo vuole il certificato di matrimonio: solo stracciandolo potrà essere libero di risposarsi. Ma è il timido Beppe, questa volta, a svestire i panni del sottomesso e a provare, in tutti i modi, a restituire la moglie al marinaio. Nonostante gli stratagemmi e gli inganni (di entrambi), alla fine Gasparo riuscirà nel suo intento e partirà dopo aver stracciato il certificato ma “derubato” dei suoi “toys“.

Così come la scenografia, anche i vestiti non hanno nulla a che vedere con la pesantezza del teatro. Matteo Corsi, come l’ambientazione richiede, veste i personaggi “da spiaggia”: Rita prima in pantaloncini poi in un bianco morbido, il bagnino in canotta e costume (anche qui dalle tinte forti), Gasparo con camicia floreale. Solo Beppe, per un attimo, sveste i panni estivi per indossare una pesante tuta da sci. Il motivo? È pronto a cambiar vita e a fuggire in montagna, se solo Gasparo glielo consentisse. Ad accompagnare i cantanti e gli attori sul palco sono le mani di Eleonora Barlassina, guidata dal maestro concertatore Giacomo Mutigli.

Nonostante il caldo il tempo dell’opera è godibilissimo, segno che, se si vuole, si può portare la lirica – specie con questa durata “flash” – dovrebbe avere l’opportunità anche dei teatri più importanti e, perché no, di uno spazio persino a scuola dove il formato da 60 minuti è perfetto come lezione in classe. Alla fine il pubblico rimane con la stessa domanda che la presidente Morosini fa ogni anno ad Aliverta al termine dello spettacolo: quale opera ci sarà il prossimo anno?

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