Diciotto anni e 8 mesi di carcere. La Corte d’Appello di Reggio Calabria conferma la condanna di Ciro Russo, l’uomo che il 13 marzo 2019 ha tentato di uccidere l’ex moglie, Maria Antonietta Rositani, dandole fuoco dopo averla inseguita e speronata con l’auto. I giudici di secondo grado hanno inflitto 8 mesi di più rispetto alla sentenza di primo grado. Questo perché la Corte d’Appello ha riconosciuto la continuazione con una condanna rimediata in passato dall’imputato sempre per maltrattamenti in famiglia.

La storia era finita sulle prime pagine dei giornali nazionali. Tre anni fa, infatti, Ciro Russo era evaso dai domiciliari che stava scontando a casa dei genitori a Ercolano, in provincia Napoli, per recarsi a Reggio Calabria. Dopo aver investito l’auto dell’ex moglie, quel giorno Russo si avvicinò alla vittima cospargendola di benzina. Antonietta Rositani riuscì a salvarsi solo perché ha avuto la prontezza di uscire dall’auto e gettarsi in una pozzanghera mentre il marito le gridava “devi morire”. Quel giorno riportò gravissime ustioni sul 50% del corpo. Le ferite la costrinsero a stare 20 mesi in ospedale e a subire decine di interventi chirurgici.

Ritornando alla dinamica del tentato omicidio, Russo, dopo averle dato fuoco si diede alla fuga. La caccia all’uomo durò 24 ore. L’imputato, infatti, fu bloccato dagli investigatori della Squadra mobile di Reggio Calabria che lo rintracciarono il giorno dopo nei pressi dell’ospedale. Nella sentenza di primo grado, il gup Valerio Trovato ha spiegato che quella è stata “un’azione pianificata”, un vero e proprio “progetto criminoso” che l’imputato ha studiato “nel dettaglio”. Non un gesto d’impeto perché, altrimenti, durante il viaggio da Ercolano a Reggio, Russo “avrebbe potuto recedere dalla volontà di portare a compimento il piano. Invece, giunto in città ha contattato la moglie per verificare che fosse in casa, si è posto al suo inseguimento e, dopo averla trovata, ha realizzato la sua vendetta”.

Sempre nella sentenza del gup Trovato c’è scritto che gli elementi a carico di Ciro Russo fotografano la sua “personalità delinquenziale”. L’imputato, infatti, “ha dimostrato una volontà di perseverare nell’obiettivo programmato, ossia quello di punire la moglie per la fine della loro relazione, per la detenzione successiva alla denuncia sporta, nonché per l’intento di proseguire nell’azione legale, finalizzata alla separazione e all’affido esclusivo del figlio minore, e un’assenza di qualsivoglia ripensamento critico dei propri atteggiamenti”.

Una tesi che, evidentemente, ha convinto anche la Corte d’Appello di Reggio Calabria. È stata così accolta la richiesta di condanna formulata dal procuratore generale Gerardo Dominijanni e dal sostituto pg Francesco Tedesco.

In aula, ad ascoltare la sentenza di condanna, c’era pure Maria Antonietta Rositani che, assistita dall’avvocato Alessandro Elia, si è costituita parte civile: “Donne non arrivate a questo punto. – è stato il suo commento – Non è una vittoria 18 anni di carcere. Non è bello sentirselo dire dopo che hai avuto dei figli dall’uomo che amavi. Mi auguro che voi abbiate la forza di denunciare per non arrivare a fare passare a tutti quello che sto passando io”.

Mentre parlava, fuori dalla Corte d’Appello, la donna era commossa: “Diciotto anni di carcere sono la pena minima dopo quello che ha fatto a me e a tutta la mia famiglia. Mi auguro che se li faccia tutti”. Al suo fianco, c’era anche il padre Carlo Rositani: “Ho sempre avuto fiducia nella giustizia italiana – è stato il suo commento – Nonostante quello che abbiamo passato in questi tre anni continuiamo ad avere fiducia nella giustizia italiana. La giustizia era che Ciro Russo ha sbagliato, è colpevole e ha tentato di uccidere mia figlia, la mamma dei suoi due figli. Ciro Russo deve purtroppo pagare. Dico purtroppo perché sono un papà che non avrebbe mai voluto che a sua figlia succedesse qualcosa del genere”.

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