Una sorta di burattinaio, guidato da “una irrefrenabile avidità” e abile nell’usare “marionette”, per poter accumulare “profitti illeciti in tutte le forme possibili”. È un ritratto in nero quello che tratteggia il giudice per le indagini preliminari di Milano, Raffaella Mascarino, per motivare l’arresto del Giovanni Battista Pizzimbone, imprenditore ligure, 56 anni, nel 2014 tra i brillanti partecipanti del reality Boss in incognito, a cui i pm Roberto Fontana e Luigi Luzi contestano il crack della società attiva nel settore della gestione e della raccolta dei rifiuti Biancamano quotata in Borsa, ora in amministrazione straordinaria. Per l’imprenditore, coinvolto e uscito indenne nel 2014 da un’indagine della procura di Trani, il giudice ha disposto la custodia in carcere. Mentre gli uomini della Guardia di finanza di Milano, hanno notificato gli arresti domiciliari per l’ex amministratore delegato della società di Massimo Delbecchi e per l’ex ad di due controllate, Energeticambiente e Aimeri Ambiente, Alessandra De Andreis. Notificate dalle Fiamme gialle anche due misure interdittive: il divieto di un anno di esercizio di impresa e di incarichi direttivi riguarda due ex amministratori di società collegate. Tra le accuse a vario titolo, oltre a bancarotta e insider trading (market abuse) è stato contestato anche l’autoriciclaggio. Le indagini sono andate anche oltre confine fino in Svizzera e attraverso una rogatoria sono stati sequestrati 4 milioni di euro.

Gli accertamenti dei militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria hanno portato a considerare gli indagati “consapevoli dello stato di forte tensione finanziaria e di conclamato dissesto economico in cui versavano tutte le società del gruppo, che presentava nel 2021 un indebitamento complessivo pari ad oltre 400 milioni di euro, di cui circa 200 nei confronti dell’Erario” e che avrebbero infatti effettuato, nel tempo, “reiterate operazioni distrattive”. Nel marzo dell’anno scorso il fatturato, secondo quello che era l’ultimo bilancio disponibile, era 81 milioni mentre la posizione finanziaria era negativa per oltre 100: per questo la procura di Milano aveva proposto il fallimento, mentre la società aveva chiesto l’amministrazione controllata. Senza contare i 1.200 lavoratori impiegati in Liguria, Piemonte, Lombardia, Toscana, Campania, Calabria, Sardegna e Sicilia.

L’analisi della situazione e dei movimenti ha portato agli inquirenti a individuare un “drenaggio” di enormi quantità di denaro dalle casse della Biancamano, dal marzo del 2021 appunto in amministrazione straordinaria, avvenuto con alcune operazioni ricostruite dalla procura. La prima riguarda, stando agli inquirenti, il pagamento di supposti crediti relativi a finanziamento di soci, attraverso l’ideazione di un complicato meccanismo di cessione degli stessi crediti che prevedeva l’interposizione di una società cipriota per permettere la “canalizzazione” di un fiume di soldi su conti svizzeri (almeno 2 milioni di euro) riconducibili direttamente o indirettamente a Pizzimbone, considerato il “dominus” del gruppo. La seconda operazione di “drenaggio” sarebbe avvenuta con una cessione di un immobile in viale Ortles a Milano da parte di una società ligure, riconducibile sempre all’imprenditore, la cui caparra versata era pari, secondo i riscontri, alla quasi totalità del prezzo di vendita. Inoltre non sarebbe mai stato stipulato il contratto definitivo. Una cessione, secondo investigatoti e pm, quindi “simulata”. Un attico, che stando a due indagati intercettati, passato di mano più volte: “se lo sono ceduti tra di foro 4 volte no?”. L’ultimo trasferimento di denaro finito sul conto dell’imprenditore, stando agli accertamenti, è avvenuto il 7 settembre 2021, quando lo stato di crisi era secondo il gip “conclamato”. La ricostruzione della procura contempla anche l’ipotesi di market abuse. Perché, a ridosso della richiesta di accesso alla procedura di amministrazione straordinaria, l’imprenditore Pizzimbone, sfruttando informazioni privilegiate in suo possesso (rappresentate dalla conoscenza dell’avvenuta presentazione di istanze di fallimento nei confronti di due società del gruppo), avrebbe effettuato operazioni di vendita delle azioni detenute nella società capogruppo quotata, prima della sospensione di quest’ultima dalle negoziazioni, evitando, in tal modo, una perdita pari a circa 200mila euro.

Per il giudice l’ex presidente e fondatore di Biancamano ha mostrato “spregiudicatezza” e “assoluta mancanza di scrupoli” nella “gestione dell’attività d’impresa” e una “irrefrenabile avidità” con cui si è arricchito di “profitti illeciti in tutte le forme possibili”, circondandosi anche di “veri e propri yes-men gestiti come marionette”, sempre “pronti ad accettare scomode cariche sociali o ad apporre prontamente firme su documenti già predisposti“. Nelle 70 pagine dell’ordinanza il giudice sottolinea che “i trasferimenti di denaro a favore di Pizzimbone sono proseguiti anche “nel periodo successivo” al momento in cui la Procura milanese aveva già inoltrato “la dichiarazione di fallimento delle società del gruppo”, che ha portato le tre società in amministrazione straordinaria.

Pizzimbone, si legge nelle oltre 70 pagine del provvedimento che ricostruisce tutte le presunte “distrazioni” di risorse, avrebbe quindi dimostrato una “spiccata capacità criminale” svuotando le “casse del Gruppo in stato di dissesto” pianificando e “realizzando negli anni complesse e sofisticate operazioni” anche quando “sono iniziate le procedure concorsuali”. Tra queste la “complessa operazione di cessione di crediti e relative compensazioni”, avvenuta tra l’8 e l’11 marzo 2021 utilizzando “strumentalmente il Consorzio Ambiente 2.0” per drenare denaro da tutte le società del gruppo verso i “conti correnti personali di Delbecchi e Pizzimbone”. L’ultimo trasferimento tracciato è del 7 settembre 2021 e “ad oggi” sul conto dell’ex presidente “sono già confluiti” oltre 2 milioni di euro. Tutto ciò malgrado la “grave situazione di tensione finanziaria” del gruppo che risaliva “almeno al 2012”.

In pratica, Pizzimbone avrebbe usato le società come “meri strumenti” per “ricavare liquidità immediata”, del tutto “incurante delle sorti delle imprese”, dei dipendenti e dei “creditori”. E anche “più manifesta – scrive il gip – è apparsa l’indole spregiudicata di Pizzimbone nella gestione dell’operazione relativa al preliminare di vendita” di un immobile di viale Ortles a Milano. Per queste operazioni si circondava, spiega il gip, da un lato di “persone competenti”, come Delbecchi e De Andreis, per svuotare le casse e, dall’altro, di “marionette”. Una di queste ultime figure, come emerso dalle intercettazioni, veniva chiamata dall’imprenditore “l’utile idiota, la testa dì legno, lo scemo, un vecchio, chiunque”, perché firmava le carte senza “obiezione alcuna”. Teste di legno, chiosa il giudice per le indagini preliminari, che tra l’altro “sono sempre molto ricercate”.

Ieri per un errore non dipendente dalla redazione è stata pubblicata la foto di Pier Paolo Pizzimbone estraneo all’inchiesta. Ci scusiamo con l’interessato.

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