Mica tutti vogliono diventare chef stellati. Essere protagonisti dei programmi televisivi del food, dare i “diesci tondi tondi” per servizio e cortesia o per un nuovo abbinamento fantastico di pere, scamorza e cannella. C’è anche chi vuole solo mettere insieme il pranzo con la cena. Una portata normale senza troppe stelle. Per vivere. “Non è vero che la gente non vuole lavorare. Non vuole farlo per pochi spiccioli e in condizioni inaccettabili”, dice Carlo. È la risposta spontanea che arriva ad Alessandro Borghese dopo l’intervista delle polemiche. Quella in cui lo chef di “Quattro ristoranti” accusava: “Lavorare per imparare non significa essere per forza pagati. Io prestavo servizio sulle navi da crociera con “soli” vitto e alloggio riconosciuti. Stop. Mi andava bene così: l’opportunità valeva lo stipendio”. Ancora accuse: “Manca la devozione al lavoro. Alle volte ho come l’impressione che le nuove generazioni cerchino un impiego sperando di non trovarlo”. È davvero così? E davvero, come dice una narrazione che non trova nessuna conferma nelle statistiche e nei dati ufficiali, la colpa è del reddito di cittadinanza?

Carlo, un cuoco napoletano che ha 49 anni e che ha trascorso gli ultimi anni in Lombardia, quando ha letto le parole di Borghese è trasalito. Lui, per riuscire a garantirsi un’esistenza dignitosa, nel campo della ristorazione ha fatto un po’ di tutto. Da Napoli alla Lombardia. È un cuoco ma nella ristorazione e nelle strutture ricettive ha fatto i mestieri meno gettonati: il lavapiatti e il cameriere. In cucina nelle mense aziendali e per i banchetti. Il portiere d’albergo e il barman. Non si è mai tirato indietro, quando ha dovuto imparare cose nuove.

Così si è messo alla tastiera e ha scritto, di getto, a Fanpage. La sua verità è molto diversa da quella super semplificata espressa da Borghese. Denuncia: “Quando leggo tutti questi articoli sulla gente che non vuole, che non vorrebbe lavorare… beh, sappiate che il lavoro c’è, è tanto, ma pagano pochissimo, pagano una miseria”. Dice Borghese: non è necessario essere pagati, se si investe sull’apprendimento di un lavoro. Carlo lo ha fatto. Sin da giovanissimo. Per ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Perché la situazione nel settore è precipitata negli anni. Qualche esempio? Nel 1986 Carlo guadagnava un milione e 800mila lire. Erano i tempi in cui un caffè costava 500 lire. Al cambio con l’euro, un quarto rispetto a oggi. All’epoca un caffè costava 500 lire per farti capire qual era la situazione. Poi la situazione è precipitata. Retribuzioni sempre più risicate. Per un impegno gravoso, anche nei fine settimana: “Non conosci ferie, non conosci sabato né domeniche. Ma è ovvio che se un giovane deve lavorare sabato e domenica e festivi e poi gli dai una miseria, dai, è normale che scappa via”. L’ultima proposta di lavoro, per una persona di quasi 50 anni con decenni di esperienza alle spalle, è stata di 30 ore la settimana per 790 euro netti al mese . Una proposta inaccettabile per chi deve tirare avanti una famiglia con 5 figli. Allora la realtà si definisce meglio. Il “famigerato” reddito serve anche a impedire che i lavoratori stiano sotto continuo ricatto. Che l’alternativa sia: o lavori per una miseria o te ne stai a casa, in totale povertà.

Ma com’è nata questa polemica, che torna in maniera ricorrente? Già nello scorso ottobre le prime avvisaglie del dibattito. Diciamo piuttosto che i ragazzi, oggi, hanno capito che stare in cucina o in sala non è vivere dentro a un set. Una settimana fa il nuovo affondo di Borghese: “I ragazzi preferiscono tenersi stretto il fine settimana per divertirsi con gli amici. E quando decidono di provarci, lo fanno con l’arroganza di chi si sente arrivato. E la pretesa di ricevere compensi importanti”. Nelle settimane precedenti erano le parole di altri importanti chef, tra cui Antonino Cannavacciuolo, che ha rimandato l’apertura del nuovo ristorante: “Non trovo personale”. E poi Viviana Varese, Enrico Bartolini, da Davide Oldani, Antonia Klugmann. Il refrain? Sempre lo stesso: si fa fatica a trovare personale da inserire nelle brigate di cucina e in sala. Certo, nel dibattito finisce anche il mondo della televisione. Accusato di proporre una realtà dorata del mondo degli chef che invece è fatta, prima di arrivare al risultato, di anni di fatica: “A me nessuno ha regalato niente – insiste Borghese – e mi sono spaccato la schiena”.

Poteva mancare lui, Flavio Briatore? Appena lette le parole del figlio di Barbara Bouchet, rincara la dose: “Quello che dice lo chef Alessandro Borghese è la verità: molti ragazzi cercano lavoro sperando quasi di non trovarlo”. Di nuovo nel mirino il reddito di cittadinanza: “Ai miei tempi l’ambizione era diventare impiegato: adesso è prendere il sussidio”. La soluzione proposta? Bloccare il reddito per i giovani. Almeno da aprile a ottobre, i mesi in cui la ristorazione lavora di più. E questo nonostante le statistiche ufficiali dell’Istat e dell’Inps dicano esattamente il contrario: i lavori stagionali e quelli a tempo determinato continuano a crescere, a livelli superiori rispetto all’introduzione della misura di welfare. Niente da fare. Nulla lo sradica dalla sua convinzione: “Il problema è che i ragazzi hanno perso il valore del lavoro: io da giovane raccoglievo le mele per due soldi, e lo facevo con passione. Adesso l’obiettivo è opposto, non lavorare. Lo ripeto: colpa del reddito di cittadinanza, una vera catastrofe”.

L’elenco dei detrattori è finito? Macché. Irrompe anche il ministro leghista del Turismo, Massimo Garavaglia. La colpa di tutto? Del reddito di cittadinanza. Peraltro introdotto dal primo governo Conte di cui il Carroccio faceva parte. Cosa dice il ministro? “C’è chi preferisce fare i tre giorni a chiamata e non andare oltre proprio per non perdere il reddito di cittadinanza”. Poi attacca ancora: “Non possiamo avere una disoccupazione elevata mentre mancano 250mila posti di lavoro”.

Non è così. Tutti i dati dicono il contrario. Ma la guerra al reddito non si ferma, mentre i sindacati avvertono: “Se la retribuzione è umiliante, è giusto e lecito rifiutare”. Intanto scorrono le testimonianze di chi rivela cosa accade veramente nel mondo del turismo e della ristorazione. Contratti fittizi, straordinari non considerati, condizioni di lavoro inaccettabili. Insomma, non tutti desiderano arrivare in cucina per mettere la ciliegina sulla torta davanti alle telecamere.

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