Nevicava su Verona, quella sera del 13 dicembre 1995, quando il bimotore turboelica Antonov An-24 della compagnia aerea rumena Banat Air decollò dall’aeroporto di Villafranca, a Verona. Dopo nemmeno un minuto si schiantò a terra, in un vigneto. Morirono tutti i 41 passeggeri e gli 8 uomini dell’equipaggio. Le vittime furono 49, a causa dell’incuria dell’uomo. Il gelo sulle ali fu la principale causa, sarebbe stata sufficiente una normale operazione di sbrinamento in aeroporto per evitare la tragedia. Avrebbe ritardato il volo di una quindicina di minuti e sarebbe costata 250mila lire dell’epoca (130 euro). La commissione d’inchiesta accertò però che il velivolo era decollato con 210 quintali in più di peso rispetto al consentito. Insomma, era troppo pesante per volare e lo aveva dimostrato la lunghezza di pista percorsa prima di riuscire ad alzarsi, per poi precipitare dopo un avvitamento. Ventisei anni e mezzo dopo l’incidente, la Cassazione ha bocciato i risarcimenti decurtati decisi dalla sezione civile della corte d’Appello di Venezia nel 2016.

Le colpe sembravano chiare. Infatti, in sede penale i giudici avevano stabilito le responsabilità dei vertici dirigenziali dello scalo veronese, proprio per la mancanza di controlli sul velivolo in partenza e perché si accontentarono dell’assicurazione del pilota, che avrebbe inviato l’elenco di quanto trasportato nel momento in cui fosse arrivato a destinazione. Avrebbero dovuto bloccare l’Antonov. Il procedimento infinito è quello civile. Adesso torna ai giudici d’appello per una nuova quantificazione del risarcimento. I 50mila euro fissati in primo grado per i familiari di ciascuna delle 49 vittime erano stati ridatti a 20mila euro in appello. Una sentenza beffa, con una questa motivazione: “Il lasso di tempo che permette il riconoscimento agli eredi del danno da morte è stato troppo breve, 12 secondi”.

Il risarcimento era stato fissato a carico dell’Aeroporto Catullo e dell’allora ministero dei Trasporti, oggi ministero delle Infrastrutture. Dopo la sentenza di appello, l’Avvocatura dello Stato aveva chiesto ai familiari la restituzione dei 30mila euro in eccesso. “È più di quanto abbiamo speso per sostenere le nostre ragioni, pagare gli avvocati, far svolgere le perizie”, aveva dichiarato il presidente del comitato delle famiglie, Francesco Zerbinati. Adesso ha accolto con relativa soddisfazione e con grande amarezza la notizia che si farà un nuovo processo d’appello in sede civile. Intervistato da Il Corriere di Verona commenta: “È difficile parlare di giustizia quando sono trascorsi quasi 26 anni e mezzo, ma almeno in questo modo si interrompe l’infinita catena di beffe e umiliazioni”.

Zerbinati nel disastro perse la fidanzata. Ha assistito, allibito, alla richiesta di restituzione dei 30mila euro avanzata dallo Stato perché era venuto meno il diritto degli eredi al danno da morte. Per i giudici mancava “la prova della consapevolezza dei passeggeri dell’imminente catastrofe, quindi ai congiunti spetta solo il risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale”. Il ricorso in Cassazione è stato presentato da un numero ormai ridottissimo di familiari, visto il tempo trascorso. Tra questi, i parenti della fidanzata di Zerbinati e tre fratelli serbi, che erano minorenni all’epoca della strage in cui persero i genitori e un altro fratellino. La Cassazione ha accolto anche il ricorso contro l’utilizzo delle tabelle risarcitorie veneziane al posto di quelle del tribunale di Milano. La nuova quantificazione dovrà essere calcolata da un collegio di diversa composizione rispetto a quello precedente.

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