Dopo un apparente definitivo ritiro da Kiev delle forze russe con la relativa quotidiana scoperta di molteplici orrori, in questa che viene definita agli analisti “seconda fase” dell’offensiva putiniana rivolta al Donbass, Mariupol e Odessa, le previsioni sui tempi della guerra sono, se possibile, ancora più incerte di quanto lo erano all’inizio dell’invasione. Da più parti si ipotizza che la possibile occupazione del sud-est del paese, su cui sembrano concentrarsi le armate russe con l’obiettivo strategico di privare l’Ucraina dell’affaccio sul mare, possa essere “l’offensiva finale” che garantirebbe a Putin di rivendicare “la vittoria” a un prezzo elevatissimo, da poter esibire con giubilo nazionale nella parata patriottica del 9 maggio analogamente a quanto avvenuto nel 2014 quando fu celebrata ufficialmente l’annessione della Crimea, nel quasi totale disinteresse della comunità internazionale.

Solo che nella “giornata della Vittoria sul Nazismo”, da sempre occasione di massima esibizione del potere militare della Federazione Russa, che Putin vorrebbe riportare ai fasti imperiali e alla rilevanza geopolitica dell’era sovietica, lo zar difficilmente potrà esibire da invasore incontrastato un’Ucraina “denazificata” e sottomessa. Così come gli risulterà difficile applicare con successo all’infinito la collaudata tecnica della metodica disinformazione con ribaltamento delle responsabilità che segue un copione ben definito e parti attribuite con precisione a portavoce e titolari di dicasteri chiave come Esteri e Difesa.

Dall’evidenza del massacro di Bucha e dal “verminaio” (copyrigtht di Mentana) che ha generato un osceno quanto paradossale negazionismo con incredibili ricostruzioni macabre di cadaveri che muovevano le braccia o si rialzavano tranquillamente dal ciglio della strada, il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, considerato “un moderato”, ha preso le distanze con queste precise parole: “consideriamo la messa in scena di Bucha come una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”.

Di concerto il suo ambasciatore all’Onu, immerso penosamente nella lettura di una scartoffia da cui non è emerso un solo elemento fondato su una prova di qualsiasi tipo, definiva false le immagini di Bucha e accusava chi le aveva diffuse, e cioè l’Ucraina e l’informazione occidentale, di averlo fatto per sabotare i negoziati. A supporto della pluralità di crimini di guerra o crimini contro l’umanità (lo definiranno il tribunale dell’Aia o altri competenti) praticati diffusamente a Bucha, come ad Irpin e Borodyanka, ma si teme ancora più massicciamente nella semidistrutta Mariupol, c’è una mole di dati che tramite la geolocalizzazione ricostruiscono la inoppugnabile cronologia dell’ingresso delle truppe russe, dell’occupazione, dei combattimenti, del ritiro il 30 marzo: il 4 aprile il New York Times pubblica immagini satellitari provenienti da Maxar Technologies che mostrano come molti civili siano stati uccisi e lasciati in strada dall’11 marzo, gli stessi corpi posizionati nella medesima posizione, sotto il pieno controllo dell’esercito russo.

E già tre giorni prima della ritirata il sindaco di Bucha aveva denunciato le fosse comuni e i corpi straziati in strada “orrori da seconda guerra mondiale”, ovvero l’esatto contrario di quanto aveva riferito nel suo intervento menzognero l’ambasciatore russo all’Onu, nel giorno in cui l’organizzazione mondiale ha evidenziato la sua sconfortante impotenzacome ha sottolineato Zelensky – dando voce a una scomoda verità ribadita anche da papa Francesco.

Quanto poi si tratti di efferatezza individuale o di strategia del terrore pianificata per annientare la resistenza si può evincere dalle intercettazioni riportate da Der Spiegel e consegnate al parlamento tedesco in cui i soldati russi, supportati anche dai mercenari della Wagner, si attengono alla pratica “prima li interroghi e poi li uccidi“, con dettagli che corrispondono alla posizione dei cadaveri lungo la strada principale incluso l’uomo accanto alla bici. Un’ulteriore totale smentita della “messa in scena ucraina orchestrata per smontare i negoziati e per innescare un’escalation incontrollata del conflitto”, rilanciata purtroppo anche da più o meno inconsapevoli diffusori italiani delle verità capovolte del Cremlino, che si sono persino spinti a fare “i garanti” del raziocinio di Putin, “un freddo giocatore di scacchi” che mai porrebbe in essere qualcosa che possa innescare un effetto boomerang.

Quanto ai negoziati in realtà non sono mai veramente partiti a un livello significativo e autorevole, per la elementare ragione che Vladimir Putin non ha nessuna intenzione di siglare un accordo in tempi brevi, tantomeno se si trova in una situazione sul campo che non gli consente di umiliare il paese aggredito.

L’invasione dell’Ucraina, ampiamente preannunciata e addirittura esibita per oltre un mese prima del 24 febbraio con il formidabile dispiegamento di truppe ai confini per cosiddette “esercitazioni”, aveva come obiettivo prioritario la presa della capitale, la destituzione del “governo di nazi e tossici” e la “denazificazione” dell’intero paese. Secondo quanto riferito dal municipio di Mariupol, nella città rasa al suolo, per smaltire la mole di cadaveri e cancellare le tracce dei crimini contro i civili l’esercito impiegherebbe forni crematori mobili. Una situazione talmente terrificante che fa suonare macabro e provocatorio l’annuncio di Peskov: “Mariupol sarà liberata presto”.

Ora, secondo quanto ribadito anche dal segretario della Nato Stoltenberg, l’aspettativa dopo “il ritiro” da Kiev e l’imponente riposizionamento è “una grande offensiva e una grande battaglia nel Donbass“. Ma non è per niente scontato che il probabile successo dell’operazione sia sufficientemente appagante per Putin e consenta l’apertura di un vero tavolo negoziale, auspicabilmente con mediatori più trasparenti, meno schierati e aggressivi dell’autocandidata Cina, a sua volta in permanente minaccioso assetto nei confronti di Taiwan.

E nessuno è in grado, al di là delle innumerevoli ipotesi, congetture e previsioni, di poter anticipare le mosse di Putin, né tantomeno di escludere la sua determinazione a porre in essere una “soluzione finale” per l’Ucraina, mai rientrata, e altre “operazioni speciali” nei confronti dei paesi al confine occidentale. L’Europa ha il diritto e il dovere, nel rispetto del diritto vigente, di contrastarlo con tutti i mezzi a sua disposizione, per garantire la sua identità e il futuro in un sistema democratico di ogni cittadino europeo.

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