Un uomo ammazzato, fatto a pezzi e i resti gettati tra le fiamme. Un altro prelevato sotto casa e poi ammazzato con un colpo di pistola alla testa. E poi 20 anni di silenzio e di omertà. Due misteri rimasti irrisolti. Fino a oggi. “Se queste pagine non fossero il riepilogo dell’articolata attività d’indagine (…) potrebbero essere considerate senza ombra di dubbio quelle dedicate alla sceneggiatura di un film dell’orrore”. Il pubblico ministero Milto De Nozza dell’Antimafia di Lecce lo mette nero su bianco nel provvedimento con il quale ha fermato i presunti responsabili di due omicidi avvenuti a Brindisi nei primi anni Duemila.

Per l’accusa sono stati i fratelli Cosimo ed Enrico Morleo, rispettivamente con i ruoli di mandante e autore materiale, i responsabili della morte di Salvatore Cairo, scomparso e mai ritrovato il 7 maggio 2000, e Sergio Spada, trovato cadavere l’11 novembre 2001 in una stazione di servizio lungo la tangenziale del capoluogo pugliese. Esponenti di una delle più famose famiglie mafiosa di Brindisi, e protetti per due decenni da un impenetrabile clima di omertà, i due fratelli sono finiti in carcere per le dichiarazioni di un terzo fratello, Massimiliano Morleo, divenuto collaboratore di giustizia e ammesso al programma di protezione.

È stato lui, durante la sua detenzione, a inviare una lettera al pm De Nozza chiedendo di incontrarlo per “intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia”. Negli incontri col magistrato ha raccontato, tra le altre cose, di quei due delitti che forse gli stessi brindisini avevano ormai archiviato come “cold case”. Il pentito, però, nelle scorse settimane ha svelato agli inquirenti che quegli agguati era da inquadrare in una sorta di guerra tra “padellari”, imprenditori attivi nel commercio di articoli per la casa: eliminando entrambi i concorrenti, Cosimo Morleo “avrebbe
operato nella distribuzione degli articoli per la casa in regime di monopolio”, si legge negli atti. E per farlo, Cosimo avrebbe impartito l’ordine al fratello Enrico. Questi, nel corso degli anni, si sarebbe però sfogato con Massimiliano, spiegando che Cosimo aveva promesso, in cambio dei due omicidi, una somma tra i 50mila e i 60mila euro, ma in realtà ne avrebbe poi consegnati solo 5mila.

“Enrico – ha raccontato Massimiliano Morleo – mi dice che Morleo Cosimo gli aveva fatto fare un altro guaio (…) che lo aveva ammazzato”. Non solo. “Cosimino – ha poi aggiunto il collaboratore – mi prese in macchina e… stavo in giro io. Mi prese in macchina… disse a me ‘Sali, Sali’ disse a me lui e abbiamo fatto il giro dell’incrocio della morte”: Cosimo in sostanza lo avrebbe portato nel luogo in cui poco prima era stato ammazzato Spada, ma il cadavere sarà ritrovato solo la mattina successiva. “Mi fece il segno così a me”, ha aggiunto Massimiliano agli inquirenti per indicare come il fratello Cosimo gli avrebbe mostrato la stazione di servizio in cui era ancora riverso il cadavere di Spada.

Il racconto quindi ha aperto un nuovo fronte investigativo: il magistrato ha immediatamente ricostituito l’originario gruppo investigativo della Squadra mobile di Brindisi che a partire dal 2000, all’indomani della scomparsa di Cairo e, ancora di più dopo l’omicidio di Spada, si era impegnato nello svolgimento di un’attività d’indagine apparsa da subito particolarmente complessa.
Gli accertamenti dei poliziotti hanno immediatamente offerto, secondo l’accusa, una serie di riscontri alle parole di Massimiliano Morleo. In particolare è nell’abitazione del fratello Enrico che la microspia avrebbe offerto una serie di informazioni preziose. Quando la notizia del “pentimento” è giunta ai familiari, Enrico Morleo è quasi andato nel panico. Ossessionato dall’idea che il fratello potesse “inguaiarlo”, ha iniziato a sfogarsi con la moglie, ignaro di essere ascoltato dai poliziotti.

“Nà vota ca lu mittemmu intra lu saccu, poi agghiu sce mina tu la capu… mpicciammu tuttu!”, spiega in dialetto alla moglie a indicare “una volta che lo mettemmo nel sacco, poi sono andato a buttare la testa… bruciammo tutto!”. Alla moglie parla ancora de “la carni strazzari” per descrivere le carni straziate della vittima. Questa intercettazione, per gli inquirenti, è una sorta di confessione involontaria di Enrcio Morleo che conferma non solo le parole del fratello, ma anche quelle di un testimone oculare che dopo 20 anni di paure, ha deciso di togliere dalla sua coscienza il peso di quella brutalità. Il testimone ha svelato quel giorno di maggio del 2000. Era entrato per caso nella parte dell’azienda chiama “La legna” dove lavorava Enrico e lì si sarebbe trovato di fronte una scena horror.

L’uomo indossava una tuta bianca macchiata di rosso, e per terra, in una gigantesca pozza di sangue, si trovava il corpo martoriato di un uomo. Proprio in quel momento Morleo imbracciava una motosega e stava tagliando la testa dell’uomo per poi gettarla in un enorme recipiente in ferro, di quelli solitamente utilizzati per la raccolta degli olii, all’interno del quale era stato acceso un fuoco. Ma poi qualcosa è andato storto. Enrico si sarebbe accorto di lui e gli avrebbe puntato l’arma addosso dicendogli “se parli ti uccido o ti rendo mio complice”. E così per venti anni avrebbe offerto versioni fasulle. Fino a pochi giorni fa. Quando la paura è scomparsa e la verità, secondo l’antimafia, è venuta finalmente fuori.

Articolo Precedente

Processo Eternit, in appello a Torino chiesti 4 anni per l’imprenditore Stephan Schmidheiny. A Napoli il pm: “Condanna a 23 anni e 11 mesi”

next
Articolo Successivo

Appalti del ministero dell’Istruzione: 6 arresti, ci sono anche 3 dipendenti. Altra misura per l’imprenditore Bianchi di Castelbianco

next