Un’area di interdizione al volo per aerei non autorizzati: così l’enciclopedia Treccani definisce la No fly-zone. In pratica, il Paese o l’organizzazione internazionale che la istituisce vieta agli aerei non autorizzati di sorvolare una determinata area, pena il loro abbattimento. Dopo l’aggressione da parte delle truppe di Vladimir Putin, da giorni Kiev chiede alla Nato di dichiarare una no-fly zone sui cieli dell’Ucraina. Il presidente Volodymr Zelensky ha giustificato la richiesta spiegando che i bombardamenti russi hanno come bersaglio i civili. E mercoledì mattina il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha aumentato ancora la pressione. Citato da Sky News Uk, ha dichiarato che l’Alleanza atlantica “sta valutando” l’ipotesi di dar vita a una no-fly zone. Poco dopo, il viceministro degli Esteri russo Alexander Grushko ha dichiarato che non si possono escludere “rischi di scontro” con la Nato.

Perché il solo parlare della no-fly zone alza così tanto il livello della tensione? Il punto è che dopo aver dichiarato un’area interdetta al volo, bisogna anche far rispettare il divieto. In sostanza, significa schierare missili terra-aria e caccia: risorse militari necessari per abbattere gli aerei che dovessero entrare nella no fly-zone. Ecco perché istituirla in Ucraina significa essere disposti a colpire i velivoli russi in caso di violazione: contemplerebbe automaticamente la possibilità di dover prendere di mira aerei militari russi e quindi, sulla carta, d’innescare uno scontro diretto con Mosca. Sarebbe qualcosa di molto simile a una dichiarazione di guerra.

Per questo, infatti, martedì sia Joe Biden che Boris Johnson si sono affrettati a escludere l’ipotesi di una no-fly zone in Ucraina, cercando di evitare una ulteriore escalation. La Casa Bianca ha escluso una no fly zone in Ucraina “perché richiederebbe l’uso della forza militare Usa per farla rispettare”. Mentre il premier britannico ha fatto sapere che questa ipotesi “non è agenda di alcun Paese Nato”.

Oltre alla volontà di evitare un conflitto aperto con Mosca, la Nato avrebbe anche difficoltà a istituire immediatamente una no fly-zone su uno stato come l’Ucraina, spostato a Est e vasto oltre 600mila chilometri quadrati. I missili terra-aria sono disponibili ma al momento non schierati, mentre servirebbe un gran numero di caccia per pattugliare i cieli e abbattere gli aerei russi. L’esperto Riccardo Alcaro, responsabile del programma IAI “Attori globali”, intervistato da Fanpage ha stimato che “servirebbero mesi” per controllare uno spazio aereo così grande.

Anche per questi motivi, non esistono numerosi precedenti di no fly-zone. La prima fu istituita da Usa, Francia e Gran Bretagna in Iraq durante la prima guerra del Golfo. La Nato invece decise per la no fly-zone sulla Bosnia-Erzegovina durante la guerra nei Balcani, nel 1993. Un’altra fu istituita in Libia nel 2011, sempre da parto della Nato. In Italia un esempio recente di no fly-zone riguarda il Giubileo straordinario indetto da papa Francesco tra fine 2015 e novembre 2016: allora fu interdetto lo spazio aereo sopra Roma.

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