Cinema

Il Legionario, quando il poliziotto “nero” sgombera col manganello gli occupanti (anche) “bianchi”. Il film cortocircuito di Hleb Papou

Nei cinema dal 24 febbraio il film ha due binari paralleli: quello action e quello di un più classico dramma psicologico che interseca linee più sottili e meno marcate tra il protagonista, il suo istruttore e capo, la madre e il fratello, la fidanzata

di Davide Turrini

“In Italia vieni facilmente catalogato, in Italia sei quello che fai. E invece la realtà è diversa: ci credi se ti dico che nelle case occupate dove abbiamo girato c’è gente che vota Lega? E d’altra parte nella Mobile ci sono poliziotti di centro sinistra”. Hleb Papou, signori, regista de Il Legionario film assolutamente da vedere nei cinema dal 24 febbraio. Il virgolettato è tratto da una lunga intervista dell’autore italiano di origine bielorussa, pubblicata da Il manifesto, che ci fa subito entrare nel cortocircuito percettivo e politico del film. “Deve sgomberare un palazzo occupato in cui vivono 150 famiglie. Una è la sua”. È il payoff de Il Legionario, storia di un poliziotto di pelle nera ma italiano, anzi romanissimo, del reparto mobile della polizia della capitale che si trova a dover fronteggiare, manganello in una mano, scudo nell’altra e aggressività allenata giorno dopo giorno su un ring, decine e decine di famiglie, tra cui quella di sua madre e suo fratello, in un palazzo occupato.

Il legionario ha come incipit una sequenza di acceso scontro tra manifestanti (tutti stranieri) di una qualche casa occupata e una ventina di celerini del reparto mobile. Uno dei poliziotti si sente male e viene portato via a spalle tra gli sguardi un po’ straniti dei colleghi, tra cui proprio quello di Daniel (Germano Gentile), origini africane, parlata romanesca, ed emoticon smile giallo sulla parte posteriore del casco (buona idea quella di individuarlo sempre in mezzo all’omogeneità cromatica dello scontro). A casa, Daniel, ha una bionda e giovane moglie incinta, mentre in un altro enorme palazzo occupato periferico (anche se il palazzo utilizzato è all’Esquilino ndr) che sta per essere preso d’assalto proprio dal reparto del protagonista vive l’anziana madre e il fratello Patrick (Maurizio Bousso) in prima linea ad aizzare la folla di occupanti per opporsi alle forze dell’ordine.

Subito Il legionario prende corpo su due binari paralleli: quello action, spostato con volontaria energia sulla fisicità degli allenamenti, degli assalti del reparto mobile, e del riconoscimento quasi animalesco di gruppo nell’atto violento e di servizio nonostante quella differenza del colore della pelle che salta all’occhio (Daniel viene chiamato “simpaticamente” dai colleghi Ciobar); e quello di un più classico dramma psicologico che interseca linee più sottili e meno marcate tra il protagonista, il suo istruttore e capo, la madre e il fratello, la fidanzata. Intanto la parte action funziona in tutto e per tutto, proprio per un ricercato, rude, adulto realismo performativo, con una macchina da presa estremamente mobile che sa stare naturalmente tra le corde del ring di una palestra (dove ci si allena a menare durissimo) e perfino in mezzo a folle e scudi facendo percepire un’ipotetica inebriante adrenalina.

La parte relazionale rimane invece su una classicità più asciutta, da più canonico cinema d’impegno all’italiana anni novanta/duemila, non proprio travolgente. Anche se la miscela stimolante dell’innesto della spettacolarità nel dramma politico provoca parecchi cortocircuiti valoriali e antropologici rispetto a ciò a cui siamo abituati. Tra i poliziotti picchiatori senza scrupoli notoriamente “fascisti” ce n’è uno “nero”, addirittura esempio tra i compagni per come sia scaltro nel fare male ma rimanendo tra i paletti del consentito. Tra i tanti manifestanti ce ne sono tantissimi “bianchi” (e italiani) e del resto quando salgono sul tetto africani, albanesi, e romani, fanno partire il coro “La gente come noi non molla mai”, ritornello icona che in questi mesi cantano i cortei anti Greenpass. Ancora: Daniel nel mostrare la propria vicinanza alla madre e al fratello non cade mani nel trappolone melò dell’essere a favore della loro causa, anzi invita la madre a seguire l’offerta del comune di Roma per andare a vivere da un’altra parte. Insomma le carte delle certezze con cui un canonico italiano progressista legge il reale si rimescolano. La ribellione radicale verso una legge ingiusta è di sinistra o di destra? Ristabilire l’ordine con la violenza è di sinistra o di destra? Badate bene, seguendo Il Legionario questo dubbio oscilla per tutto il film, resta abbondantemente addosso a chi lo guarda fino in fondo, e lascia un marchio indelebile di strana mutazione delle ovvietà politiche italiane contemporanee quando il film finisce.

Perfetta, tra l’altro, la scelta di Gentile in questo ruolo doppio e sfaccettato, fisicamente potente e sottilmente fragile, specie di guerriero spartano alla 300 sguinzagliato sulle scie di sangue alla Diaz, e supportato nella sua ambiguità fino agli ultimi secondi per un finale disvelatore di un dettaglio che vale l’intero film. Producono Clemart e Rai. Distribuisce Fandango.

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