di Alessandro Pezzini

La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia e, come sempre, abbiamo avuto la dimostrazione di vivere in un Paese meraviglioso: un Paese che assolve Marco Cappato e costringe il Parlamento a legiferare ma il Parlamento non fa un tubo. Qualcuno allora prende iniziativa con un referendum ma questi lo bocciano perché incostituzionale, come se il quesito fosse “posso ammazzare qualcuno, se questo qualcuno mi dà l’ok?”.

Ciò che viene infatti definito “omicidio del consenziente”, ovvero la possibilità di una persona gravemente inferma di scegliere di non essere mantenuta in una condizione che i sani chiamano “vita” e che per lei è un inferno, è stato bocciato perché non preserva “la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana”. E questo nonostante il milione e duecentomila firme raccolte da banchetti in cui si sono riunite le più disparate forze politiche. La nostra Costituzione, se letta con un filtro conservatore, rivela oggi tutta la sua età. E invece sgambettano come giovincelli i Patti Unilateranensi, che hanno portato il Vaticano (seppur Papa Francesco da Fabio Fazio abbia condannato il clericalismo) a entrare ancora a gamba tesa in questioni prettamente italiane e laicissime.

La tutela minima della vita presente nella Costituzione, a quanto ho capito dai recenti avvenimenti, prevede che la vita sia preziosa fin quando il feto si trasforma in adulto omosessuale/fumatore di cannabis/irreversibilmente infermo. In tal caso, la persona entra in una minoranza inutile da considerare e che, soprattutto, rischia di portare pochissimi voti alle urne. C’è da dire che non ci sono più i radicali di un tempo e che poteva esserci modo di integrare questo quesito referendario con iniziative parallele, muovendo dalla consapevolezza che le istituzioni avrebbero potuto trovare cento vie per bloccare questa iniziativa. E c’è anche da dire che abbiamo perso l’ennesima occasione per fare una rivoluzione in termini di diritti individuali, i quali sono sempre l’ultimo tra i temi affrontati in Parlamento.

Ma la mia domanda è: l’eutanasia è veramente una questione etica così ingombrante? Spesso ci riempiamo la bocca della retorica del “La tua libertà finisce dove inizia la mia”. Chiedo: chi mai può offendersi se un malato ricorre all’eutanasia? Faccio un esempio: la tua libertà di ubriacarti va di pari passo con la mia libertà di tornare a casa vivo e vegeto e quindi decideremo insieme che tu ti possa ubriacare solo se poi non ti metti alla guida, perché il tuo comportamento diventerebbe potenzialmente lesivo nei miei confronti. E l’eutanasia? L’eutanasia offende i sani e chi crede che la vita sia un dono (e che quindi un malato non possa rinunciare alla sua neanche se fosse in condizioni gravissime e irreversibili) e il motivo è: “Come la può pensare Dio di te?”.

Ora: penso che se Dio esistesse saprebbe scindere tra il malato e chi è contrario all’eutanasia. La libertà del malato di porre fine alle sue sofferenze non collima con la libertà altrui di continuare a sperare in una ricompensa e una glorificazione post mortem. Durante il cosiddetto giorno del giudizio, Dio potrebbe arrabbiarsi con il malato oppure comprendere il suo dolore. Così come potrebbe arrabbiarsi coi contrari all’eutanasia perché non hanno compreso le sofferenze altrui oppure comprenderli perché pensavano di parlare in Suo nome. In tutto questo, viene difficile pensare che Dio abbia come emissaria sulla Terra pure la Corte Costituzionale di Giuliano Amato.

E se il problema non fosse religioso ma veramente costituzionale mi chiedo: come può la Cosa Pubblica sostenere che la libertà di un infermo finisca dove inizia l’ingombrante opinione di chi non sa cosa egli prova? All’interno della nostra Carta, dove sono i valori di quei partigiani che hanno scelto di rischiare di porre fine alla loro esistenza terrena pur di non soffrire più il grande dolore del fascismo?

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