“Leggere o sentire che chi ha preso la decisione non sa cosa è la sofferenza ci ha ferito ingiustamente. Si sarebbe finito per legittimare l’omicidio del consenziente ben al di là dei casi per i quali ci si aspetta l’eutanasia”. Così il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato ha spiegato la decisione con cui l’organo martedì ha ritenuto inammissibile il quesito sull’omicidio del consenziente (“eutanasia legale”), promosso da un comitato che ha per capofila l’Associazione Luca Coscioni, ritenendo che “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana. Amato ha scelto di convocare un’apposita conferenza stampa per spiegare i motivi della decisione: un’iniziativa inedita, dovuta alle numerose polemiche per la bocciatura di un’iniziativa sostenuta da una mobilitazione popolare senza precedenti (la campagna referendaria aveva raccolto un milione e 200mila firme).

“Vi dico una cosa che non potrei dire, ma non è detto che se si fosse presentata la questione in termini di legittimità costituzionale dell’omicidio del consenziente la nostra decisione non avrebbe potuto essere la stessa che abbiamo preso sul suicidio assistito“, cioè la depenalizzazione a determinate condizioni, ha aggiunto. “Non mi pare che nessuno abbia cercato i peli nell’uovo“, ha detto ancora Amato, riferendosi a una sua dichiarazione dei giorni scorsi in cui incoraggiava a favorire il voto popolare. E per quanto riguarda le dinamiche interne alla Corte ha spiegato che “in alcuni casi l’orientamento è stato unanime, in altri prevalente”. Il referendum sull’omicidio del consenziente, ha risposto a una domanda de ilfattoquotidiano.it, “apre all’impunità penale di chiunque uccide qualcun altro con il consenso, sia che soffra sia che non soffra. Occorre dimensionare il tema dell’eutanasia alle persone a cui si applica, ossia a coloro che soffrono. Non potevamo farlo sulla base del quesito referendario, con altri strumenti può farlo il Parlamento“.

Il quesito bocciato prevedeva una depenalizzazione del reato di omicidio del consenziente, al momento punito con la reclusione da sei a quindici anni. Se il referendum fosse passato, sarebbe rimasta in vigore soltanto la previsione – già esistente – che prevede l’applicazione della norma sull’omicidio se il fatto è commesso contro una persona minore di 18 anni, contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti, contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione o carpito con l’inganno. Secondo i promotori, il rischio di una completa depenalizzazione della fattispecie non ci sarebbe stato, perché la normativa di risulta si sarebbe inserita in un contesto “caratterizzato sia dalla vigenza della legge 219/2017 che definisce le caratteristiche che il consenso del richiedente deve avere nell’ambito di un percorso di fine vita, sia dalla sentenza della Corte costituzionale 242/2019 che individua le circostanze per le quali si possa legittimamente chiedere la morte volontaria”.

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