A dieci mesi dal fermo per spionaggio la Procura ordinaria di Roma e quella militare hanno chiesto il rinvio a giudizio su Walter Biot, l’ufficiale della Marina Militare arrestato nel marzo scorso mentre cedeva documenti riservati ad un agente russo. I carabinieri del Ros avevano fermato il capitano di fregata dopo la cessione di documentazione classificata. Era stata l’Aisi a innescare l’indagine: il servizio segreto aveva ricevuto un input sui rapporti tra i due qualche mese fa da quel momento erano scattate le procedure per i controlli dei movimenti dei due. Nei confronti di Biot la procura ordinaria contesta i reati di spionaggio, rivelazione di segreto di stato e corruzione. I pm militari contestano all’ufficiale i reati di “procacciamento di notizie segrete a scopo di spionaggio”, “procacciamento e rivelazione di notizie di carattere riservato”, “esecuzione di fotografie a scopo di spionaggio” e “comunicazione all’estero di notizie non segrete nè riservate”.

Biot – per cui il giudice per le indagini preliminari aveva confermato il provvedimento parlando di “estrema professionalità e pericolosità”, è attualmente detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. La corruzione gli è contestata in quanto rivestiva un ruolo di pubblico ufficiale quando ha ottenuto denaro (5mila euro) in cambio di notizie riservate. I due procedimenti hanno camminato paralleli in quanto vengono contestati reati diversi. Secondo la procura ordinaria Biot può finire sotto processo per essersi procurato “a scopo di spionaggio politico notizie – è detto nel capo di imputazione – che, nell’interesse della sicurezza dello Stato, o comunque nell’interesse politico, interno o internazionale dello Stato, dovevano rimanere segrete e rivelava queste notizie” ad un funzionario russo.

In particolare “avendo accesso, per il ruolo ricoperto e le funzioni svolte, a tutta la documentazione classificata e non, relativa alle missioni internazionali a cui partecipava l’Italia, agli schieramenti dei reparti e alle linee strategiche di condotta della Repubblica rispetto alle singole aree di intervento” effettuava “con uno smartphone dedicato rilievi fotografici di documentazioni riservate nella sua disponibilità, per motivi del suo ufficio, e consegnava, dietro corrispettivo di denaro, segnatamente la somma di 5000 euro la relativa scheda SD contenenti tali immagini”. Per i magistrati militari l’ufficiale “si procurava notizie concernenti la forza, la preparazione e la difesa militare dello Stato classificate segrete o riservate, eseguiva, a scopo di spionaggio con uno smartphone in suo possesso fotografie di documenti concernenti la forza, la preparazione e la difesa militare dello Stato, rivelava, a scopo di spionaggio notizie” al funzionario russo protetto dall’immunità diplomatica. Dopo l’arresto del capitano italiano la Russia aveva espulso un diplomatico italiano.

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