Cultura

I compositori ebrei nel ghetto di Terezìn, anticamera di Auschwitz: “La mia tromba nell’acido solforico perché nessuno la usasse per marce militari”

Gideon Kline, Viktor Ullmann, Erwin Schulhoff e Eric Vogel. Cecoslovacchi, furono alcuni dei musicisti costretti a stare nel campo di concentramento usato dai nazisti a scopi propagandistici. Il musicologo Luca Bragalini: "Ullmann raffigurò il Terzo Reich nell'opera l'Imperatore di Atlandide: la morte, personificata, appariva triste e senza più uno scopo. Klein morì a 25 anni. Tutti affidarono gli spartiti a mani fidate, sperando che le loro musiche non sparissero"

di Elisa Cornegliani

“Misi i pistoni nell’acido solforico perché nessuno potesse suonare marce militari con la mia tromba che aveva suonato solo jazz. Mi sembrava di perdere un amico”. Eric Vogel ricordava così il suo ‘giorno nero’, in un racconto autobiografico pubblicato sulla rivista Down Beat. I nazisti, arrivati in Cecoslovacchia nel 1939, imposero a tutti i musicisti ebrei – fra cui lui – di consegnare gli strumenti. Non ha scelta e lo fa, ma cerca di tenere la musica per sé. Viene arrestato poco dopo e inviato nel ghetto di Terezìn (Theresienstadt), destinazione – non definitiva- per molte personalità di spicco del tessuto culturale ebraico. Il regime hitleriano mandava lì gli artisti per raccontare al mondo una visione dorata e idilliaca dei campi, distante dalla realtà: serviva come propaganda. Il destino di Vogel incrocia quello di Fritz Weiss, ritenuto uno dei migliori musicisti jazz nell’Europa di quegli anni, e quello del chitarrista Coco Shumann. Tutti e tre fecero parte del gruppo Ghetto Swingers, nato nel 1943 proprio a Terezìn. La costituzione di formazioni musicali, infatti, faceva parte della messa in scena nazista. La Croce Rossa Internazionale andò in visita nel giugno del 1944 e ci cascò. Per anni, ha ricostruito l’Associazione Figli della Shoah, il responsabile della delegazione Maurice Rossell non riuscì a spiegarsi come quella narrazione messa a punto dai carcerieri avesse potuto offuscare i fatti. “Molti dei musicisti lì imprigionati furono poi destinati ai campi di concentramento che più conosciamo, come Auschwitz o Dachau. Una loro abitudine era conservare gli spartiti con i componimenti in valigie o borse, che poi consegnavano ad amici fidati quando capivano, se capivano, che stava arrivando il momento del trasferimento”, spiega Luca Bragalini, musicologo e docente di storia del jazz al conservatorio di Brescia. “Alcune volte queste stesse valigie si perdevano e non venivano aperte per anni”. Le musiche che contenevano, quindi, restavano in silenzio.

È il caso di Gideon Kline, nato a Přerov – ora in Repubblica Ceca – e deportato a Terezìn nel 1941: “Un compositore classico che si avvicinò, però, anche ad altri generi. Facendo ricerche ho scoperto alcuni lavori che dimostrano, da parte sua, una totale conoscenza del linguaggio jazzista. E in particolare ho trovato un frammento blues, lasciato incompiuto e rimasto inedito”. Bragalini si è rivolto al direttore d’orchestra jazz Paolo Jodice per completarlo. Il brano sarà così suonato, per la prima volta in assoluto, il 27 gennaio sera in occasione del concerto di “Musica Degenerata”, organizzato dall’Associazione Figli della Shoah in collaborazione con il Conservatorio G. Verdi di Milano, la Fondazione Cdec, la Fondazione Memoriale della Shoah di Milano e la Comunità Ebraica di Milano. A condurre la serata lo stesso Bragalini e Claudio Ricordi, autore dei testi della serata insieme a Mariella Zanetti. Da Terezìn, dove arriva nel 1941, Gideon Klein viene trasferito ad Auschwitz nel 1944 e in seguito a Fürstengrube, distante 30 chilometri. Muore qui, a 25 anni. Le sue opere, conservate in valigie chiuse, saranno scoperte nei quarant’anni successivi.

Celebre più di altri è Viktor Ullmann, compositore e pianista molto attivo nell’organizzazione di concerti all’interno del ghetto propaganda. Fra le mura di Terezìn compone Der Kaiser von Atlantis – “L’imperatore di Atlantide” – opera lirica in un unico atto con libretto firmato da Peter Kien. “Racconta la follia di un imperatore pazzo che vuole la distruzione del mondo tramite una luna serie di omicidi. Una parodia di Hitler e del regime nazista”, ricorda Bragalini. Non verrà mai rappresentata all’interno del campo, nonostante le prove. “Anche in questo caso l’opera è classica ma c’è un personaggio che si esprime in blues: la morte“. Personificata e triste, perché per la prima volta si sente inutile: “Ullmann la mette in scena così, senza più uno scopo. Come se dicesse, agli uomini del regime nella storia – che poi sono i nazisti nella realtà – ‘ormai fate tutto voi e io non riesco più a tenere i vostri ritmi’. L’opera è infatti conosciuta anche con il titolo L’Abdicazione della morte“. Il cast viene trasferito ad Auschwitz, e non riuscirà a sopravvivere: fra loro c’è anche Fritz Weiss, scelto dall’autore come clarinettista, e lo stesso Ullmann. Moriranno entrambi nel campo di sterminio nella Polonia occupata dai nazisti a poche settimane di distanza l’uno dall’altro, nel settembre – ottobre del 1944. Prima di lasciare Terezìn il compositore consegna i suoi spartiti in mani fidate, nella speranza che vengano conservati. L’opera viene ritrovata negli anni ’70 e messa in scena per la prima volta ad Amsterdam nel 1975. Il 27 gennaio sarà eseguito un estratto.

E poi c’è Erwin Schulhoff, allievo di Claude Debussy: “Musicista classico che negli anni ’10 iniziò a interessarsi contemporaneamente al jazz e al Dadaismo. Unendoli creò alcune opere estremamente particolari. Una è In Futurum: una composizione per pianoforte in cui ci sono solo pause e tantissimi segni di espressione. Ricorda il brano di John Cage, intitolato 4′33″e realizzato nel 1952, in cui lo spartito chiede all’esecutore di non suonare nulla per tutta la durata del pezzo. Schulhoff però compose In Futurum decenni prima”. Cecoslovacco come Klein e Ullmann, a differenza di loro non passò da Terezìn. Ma, come loro, morì nei lager: a Wülzburg, in Baviera, nel 1942. “Ho scelto questi profili perché, proprio mentre la loro identità era minacciata dalla storia, scelsero l’apertura. Decisero di abbracciare culture lontane dalla loro, come il blues e il jazz, di tradizione statunitense. Lo fecero forse in segno di speranza”. Eric Vogel, sulla rivista Down Beat, oltre al ‘giorno nero’ dell’arresto ricordava anche il momento della liberazione da Terezìn: “Il 30 aprile 1945 la prima jeep americana faceva il suo ingresso nel villaggio. Sulla jeep c’era scritto Boogie-Woogie. Fui nutrito e rivestito. Divenni di nuovo un essere umano. Devo dire che realmente e letteralmente il jazz mi ha salvato la vita”.

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