Un compleanno tra i peggiori immaginabili. Con un cappio che gli fa macabramente compagnia dal 21 ottobre 2017, giorno della condanna all’impiccagione pronunciata da un giudice iraniano.

Il 14 gennaio Ahmadreza Djalali ha trascorso il suo cinquantesimo compleanno chiuso in una cella minuscola, infestata da insetti, lontano dalla moglie e dai due figli in Svezia. Il 26 aprile saranno passati sei anni dal suo arresto e non è detto che ci arrivi: perché nel frattempo potrebbe essere stato scarcerato, certo, o perché purtroppo potrebbe essere arrivato il boia o le sue precarie condizioni di salute potrebbero averlo anticipato.

Djalali, scienziato di origini iraniane ma residente in Svezia, per alcuni anni ricercatore anche presso l’Università del Piemonte Orientale, è stato arrestato nell’aprile 2016 mentre era in Iran per motivi di lavoro e accusato di aver spiato in favore di Israele. Nei suoi confronti non è mai stata presentata alcuna prova.

Ha sempre denunciato di essere stato costretto, con la minaccia di conseguenze per l’anziana madre residente in Iran e anche per la famiglia in Svezia, a “confessare” le sue colpe davanti a una telecamera, leggendo un testo scritto dalle persone che lo interrogavano.

In una lettera scritta dal carcere, nell’agosto 2017, ha accusato le autorità iraniane di aversi voluto vendicare per il suo rifiuto di collaborare a raccogliere informazioni riservate: “Sono uno scienziato, non una spia”.

Sessant’anni, sempre in carcere, li ha compiuti il 15 gennaio Abdul-Jalil al-Singace, accademico, blogger e difensore dei diritti umani del Bahrein, che da oltre dieci anni sta scontando una condanna all’ergastolo, inflittagli il 22 giugno 2011 da una corte marziale.

Come riconosciuto dalla stessa Commissione indipendente d’inchiesta del Bahrein, istituita nel 2011 dal governo di fronte alle proteste internazionali contro la violenta repressione delle manifestazioni dell’inizio di quell’anno, dopo l’arresto al-Singace venne tenuto in isolamento per due mesi, durante i quali venne torturato e sottoposto a molestie sessuali.

Molti protagonisti della “primavera” del 2011 in carcere sono anziani e in cattive condizioni di salute, spesso a causa delle torture subite dopo l’arresto.

Lo stesso al-Singace ha diverse malattie croniche, soffre di sindrome post-polio, anemia, tensione cardiaca e parestesia ai muscoli e agli arti. Di conseguenza, richiede l’uso di stampelle o di una sedia a rotelle. Negli ultimi quattro anni la direzione del carcere di Jaw ha sempre rifiutato di accompagnarlo agli appuntamenti con medici specialisti.

Nel 2015 ha portato avanti uno sciopero della fame di 313 giorni per protestare contro le condizioni carcerarie e il trattamento degradante e inumano riservato ai detenuti.

L’8 luglio scorso ha intrapreso un nuovo sciopero della fame, tuttora in corso, che intende proseguire fino a quando la direzione del carcere non gli restituirà un libro. Da novembre, di fronte al rifiuto di fargli effettuare videochiamate con la famiglia, rifiuta anche le flebo e va avanti solo a sale, zuccheri e tè.

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