I magistrati che tornano in servizio dopo la candidatura (o il mandato elettorale) non potranno svolgere funzioni giudiziarie, ma saranno inseriti in un apposito ruolo presso il ministero della Giustizia. È la nuova ipotesi contro le “porte girevoli” tra toghe e politica che la ministra della Giustizia Marta Cartabia vuol inserire nella riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario, che verrà presentata al prossimo Consiglio dei ministri. Una previsione che di fatto si limita a recepire quella già contenuta nel disegno di legge dell’ex ministro Alfonso Bonafede, il testo base in discussione in Commissione Giustizia alla Camera a cui il Governo dovrà proporre i propri emendamenti. L’ipotesi inizialmente presentata ai partiti e all’Associazione nazionale magistrati (Anm), consentiva invece il ritorno in magistratura con delle limitazioni, quali il cambio di distretto o il divieto di svolgere le funzioni più delicate.

A riferire dell’intenzione di Cartabia è stato il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, che venerdì – insieme alla giunta – ha avuto un incontro con il capo dell’ufficio legislativo del ministero della Giustizia. Nel proprio intervento alla riunione del Comitato direttivo centrale (il “parlamentino” dell’associazione), Santalucia ha parlato di “consultazione anomala” da parte della ministra, una forma di “ascolto più che di confronto”. “Abbiamo avuto due incontri con la ministra ma nulla di scritto“, ha lamentato, “ci vengono riferite a voce quelle che saranno le riforme ma per noi è difficile esprimere opinioni sulle parole. Il modo in cui hanno ritenuto di coinvolgere l’Associazione nazionale magistrati non mi sembra il miglior modo di coinvolgere l’ordine giudiziario nel momento in cui ci si appresta a fare una riforma che dovrebbe sanare i mali. Capisco le ragioni dell’urgenza e la fretta della politica ma non mi sembra il miglior modo in cui confrontarsi”.

Sul divieto di porte girevoli, a quanto trapela, c’è un consenso pressoché unanime dei partiti. Molto critico invece il segretario del sindacato delle toghe, Salvatore Casciaro: “L’ipotesi della ricollocazione, al termine del mandato elettivo, in plessi anche prestigiosi dell’amministrazione dello Stato, delineata dal ddl Bonafede e che parrebbe da ultimo rilanciata, si pone in palese frizione con la norma costituzionale dell’articolo 51 Costituzione che assicura a chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive di conservare il proprio posto di lavoro. Un conto è fare il magistrato, altro è occuparsi di amministrazione attiva”, ha detto durante il Comitato direttivo centrale.

La riforma interverrà anche sulla composizione del Csm e sulla legge elettorale per scegliere i componenti “togati” (eletti dalla magistratura tra le proprie file). L’ultima soluzione individuata da Cartabia è l’ampliamento dei seggi elettivi, che da 24 (16 togati e 8 “laici” eletti dal Parlamento) passerebbero a 30 (20 togati e 10 laici). I togati verrebbero eletti con un sistema binominale maggioritario che secondo moltissimi addetti ai lavori favorirebbe ancora più di adesso le correnti, rendendo impossibile l’elezione di candidati indipendenti. Dopo un lungo silenzio, sabato l’Anm si è espressa anche su questo aspetto, dichiarandosi “fermamente contraria alla proposta in discussione”, che causerebbe “la concentrazione del potere in uno o due poli, all’interno dei quali troverebbero ampio margine di manovra proprio le condotte spartitorie che si intendono impedire”. Contro il documento ha votato l’intero gruppo di Magistratura indipendente (la corrente conservatrice), che trarrebbe probabilmente il maggior vantaggio dall’ipotesi di riforma.

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